Abituarsi alle fluttuazioni elettorali?

Se provassimo a leggere i risultati delle ultime amministrative alla luce delle interpretazioni del postmoderno di Baumann ed Eco forse riusciremmo a interpretarli meglio in vista delle future strategie politiche dei partiti e dei movimenti. Viviamo, a detta degli studiosi, in una società liquida a livello globale. Il suo carattere dominante è l’indeterminatezza, che induce a non avere più posizioni predeterminate e segnate dall’appartenenza ad un gruppo o ad un partito. Già questo ha provocato a livello rappresentativo una velocizzazione mai vista nella storia dei cambi di schieramento e di linea politica. Tradotto tale fenomeno a livello elettorale si assiste ad un inarrestabile fluttuare dei consensi e delle scelte. Le rendite di posizione sono ormai tramontate e gli esiti delle ultime prove elettorali non costituiscono più una base da cui partire. In una parola domina incontrastata la libertà delle opinioni, lontana anni luce dalla libertà del pensiero critico che dovrebbe presiedere ad ogni scelta ponderata nelle cabine elettorali. Ma la libertà delle opinioni, di per sé legittima ed opportuna, è a sua volte esposta ad un alto tasso di imprevedibilità, legata com’è alle urgenze immediate e agli stati emotivi del momento. Allora, si dice sempre, tutto può succedere. e se i partiti e i movimenti tornassero ad analizzare i flussi di opinioni, prima di quelli elettorali e nella conoscenza delle mutazioni sociali che inevitabilmente ne derivano, ci risparmieremmo interpretazioni del voto popolare in base alle quali tutti i competitors  hanno comunque e sempre vinto e nessuno ha mai perso. Studiare la società e le sue non più ripetitive e durature opzioni in relazione ai temi politici è ormai un impegno che non può essere eluso. Non c’è da farsi molte illusioni al riguardo. Gli sconfitti attendono sempre di rifarsi alla nuova prova elettorale. E così sarà per chissà quanto tempo. Intanto diminuisce paurosamente il numero dei votanti. Attribuire il dato all’antipolitica, alla protesta, al clima e qualche altro elemento avverso è quanto mai risibile. Intanto tra protesta e antipolitica qualche differenza ci sarà. L’antipolitica, a parer mio, nemmeno si reca alle urne; la protesta vota e sceglie con una sua logica che i politici devono interpretare in vista delle future strategie. Oggi viviamo un’epoca anti, in ogni senso. Si è contro tutto, ma non indiscriminatamente. Si è contro tutto quanto sa di potere e di malaffare spesso connesso e le scelte elettorali vengono convogliate verso gruppi e movimenti non ancora sperimentati su questo fronte insidioso. Prevale una sorta di attivismo spesso fine a sé stesso, che porta a comportamenti elettorali inevitabili e a sconfitte prevedibili, ma non questo evitabili. Riflettere su questi temi e altro è ormai necessario e irrinunciabile. Non farlo serve solo a garantire lunga vita alla decadenza delle istituzioni rappresentative. Intanto sarebbe bene partire dal rispetto massimo per le scelte degli elettori e non è nemmeno accettabile che ci si disponga a registrare l’eventuale fallimento dei vincitori. E’ auspicabile invece che, all’opposizione o al governo, si propongano politiche credibili sui problemi autentici della società e del paese. Che sono poi sempre quelli, dall’educazione al lavoro. Sarebbe troppo, ad esempio, chiedere di non infierire più sul welfare, che in tempi di crisi mondiale0 tanti stati europei hanno rafforzato mentre da noi come tra i vicini francesi si pensa solo a ridurre e mortificare?

Enrico Esposito