Educazione e movimento operaio in Calabria nell’età giolittiana

I rapporti fra devianza politica e criminalità organizzata sono esaminati da Antonio Marchesiello sulla scorta degli studi criminologici più recenti. Posta la necessità di non limitarsi alla tradizionale criminologia giuridica nella formulazione del concetto di devianza, la quale è anche “comportamento disfunzionale al funzionamento del sistema dominante”, afferma che mafia e camorra, nella realtà meridionale, “non sono fenomeni autonomi di devianza, avulsi dal sistema sociale e culturale, sul terreno del quale allignano e prosperano”, e che una corretta soluzione del problema impone, accanto a provvedimenti di carattere istituzionale, una “concreta moralizzazione della vita pubblica … fornendo modelli politici che siano protagonisti di un ampio processo di giustizia sociale”.

Pubblichiamo infine una ricerca sulla questione educativa in seno al movimento operaio calabrese, nell’età giolittiana. La ricerca storico-educativa è sempre più interessata alle idee e ai programmi dei partiti politici, dei movimenti e delle associazioni nel campo dell’educazione. Il movimento operaio europeo e italiano hanno sempre considerato l’educazione un presupposto irrinunciabile dell’emancipazione delle classi lavoratrici.

Programmi, proposte, iniziative non sono mancati fin dal periodo del socialismo da Blanqui definito utopistico. Fourier, Owen, Saint-Simon guardano all’educazione come alla formazione da conseguire con interventi educativi che devono essere attivati durante tutta la vita del singolo soggetto della comunità sociale. E mentre Owen, attirando per questo l’attenzione di libertari come Kropotkin e Morris, affida all’educazione il fine di armonizzare, nell’agire umano, le aspirazione soggettive con il bene sociale, Fourier punta sull’elemento morale per trasformare la qualità della vita, in un’azione educativa che non si esaurisca nell’aspetto formale. La fondazione poi di principi educativi di estrazione marxista verrà ad aggiungere nuovi elementi ad un quadro abbastanza ampio di tendenze che in Italia si manifesteranno all’interno delle varie componenti del movimento operaio, al mazzinianesimo, al bakouninismo, all’operaismo, al riformismo socialista.

Aver ricostruito un’esperienza regionale in questo campo, colta, sia pure all’interno del quadro generale della storia del movimento operaio, nella sua specificità, si crede non sia stato inutile. I primi anni del novecento fanno registrare in Calabria un notevole aumento della domanda di istruzione. I dati del censimento del 1911 dimostrano che la percentuale di analfabeti è in netto decremento non solo in relazione alle percentuali dei censimenti precedenti, ma anche nel confronto con regioni più progredite dell’area del centro-nord.

La cresciuta richiesta di istruzione, che consente la diffusione dell’alfabeto fra i ceti popolari, è generalmente collegata dagli storici al fenomeno degli “americani”, e cioè al ritorno degli emigrati dalle Americhe e al conseguente impiego di capitali, costituiti da moneta straniera, che, aggiunti alle rimesse degli emigrati che non fanno ritorno in patria, permettono di realizzare indubbi avanzamenti sociali alle famiglie interessate.

Non si vengono così a creare le condizioni per il superamento delle precarie condizioni in cui versa l’economia della regione e tuttavia il miglioramento del tenore di vita di molte famiglie consente di investire capitali, non solo nell’acquisto di terre, ma anche in beni di formazione, sicché all’espansione della piccola proprietà terriera viene a corrispondere quella dell’accesso all’istruzione anche come conseguenza dell’ascesa sociale realizzata.

Nel 1911 la Calabria presenta il 59% di analfabeti maschi e il 60% di femmine. Un passo avanti, se si considerano le percentuali dei censimenti precedenti che segnano punte dell’80%. E tuttavia nel 1911 il Piemonte ha solo il 9% di analfabeti maschi e il 13% di femmine. “Come si vede vi è, nelle nostre contrade, molto terreno da dissodare”, rileverà ancora nel 1914 “Vita Nuova”, il giornale dei socialisti di Morano, fondato da Nicola De Cardona. “Tuttavia un passo (passo di lumaca se si vuole) si è fatto; e, quel che più importa rilevare, si è che questo è stato dato per la spinta che ogni giorno più determina la classe operaia. Da noi  non è stata la classe borghese che ha compreso la grande utilità che si riversa sul complesso della produzione, quando si può avere una classe operaia consapevole ed alfabeta; ma sono stati gli operai stessi quelli che hanno dovuto sentire il bisogno e l’interesse ad istruirsi quando è cominciato l’esodo dall’ingrata patria. Allora soltanto, nelle terre più industriali e più colte, si è compreso la grande utilità del sapere leggere e scrivere, tanto che oggi non c’è “americano” che non raccomanda specificatamente alla famiglia di mandare il figlio a scuola”[1].

In effetti in Calabria “il bisogno e l’interesse ad istruirsi” era stato avvertito prima dell’inizio dell’emigrazione in seno alle organizzazioni operaie delle origini. E tuttavia l’attenzione delle società operaie di mutuo soccorso ai problemi dell’istruzione fu condizionato fin dall’inizio dal tipo di direzione politica moderata che esse si diedero, nella maggior parte dei casi.

Ora, non solo nel pensiero operaio e socialista, ma anche nell’organizzazione politica stessa, il tema dell’educazione della classe operaia è sempre ricorrente nell’individuazione delle potenzialità di rinnovamento connesse alla crescita del livello culturale dei lavoratori. I congressi operai in Italia, dal primo tenuto ad Asti nel 1853, fino a ben oltre la nascita del partito socialista, affrontano il problema dell’educazione, dando vita, specialmente nel nord, ad iniziative ispirate talvolta al concetto di educazione integrale, talaltra a quello di elevazione morale della classe lavoratrice, a seconda dell’indirizzo politico seguito[2].

Elemento comune alle varie componenti del movimento operaio italiano è la visione egalizzante della diffusione della cultura. E tuttavia, proprio su questo terreno, le divisioni all’interno delle organizzazioni operaie si delineano in tutta la loro asprezza, nella denuncia, specie da parte degli anarchici e in seguito degli internazionalisti, dell’ambiguità del discorso egalitario in una società profondamente divisa in classi, in seno alla quale l’educazione, considerata come semplice accostamento alla cultura dominante, pur rappresentando un indubbio avanzamento dei ceti subalterni, non esclude il rischio di una loro “acculturazione”  e cooptazione nell’area di potere delle classi egemoni, nella vanificazione di ogni discorso rivoluzionario[3].

La polemica di Ettore Ciccotti, di Gaetano Salvemini e, infine di Antonio Gramsci, si scaglierà anche contro il tipo di cultura che, specie nel Mezzogiorno, veniva imposto ai ceti subordinati, contro cioè “il classicismo bastardo e scimunito”, vuoto e retorico, nel quale Salvemini individuava l’asse portante della formazione della piccola borghesia umanistica del Mezzogiorno.

In Calabria il movimento operaio organizzato nelle società di mutuo soccorso indica nell’istruzione dei soci aderenti uno dei fini principali da perseguire. Tutti gli statuti ribadiscono tale impegno, ma solo in qualche caso è dato registrare il sorgere di concrete iniziative, sostenute dalla convinzione che l’emancipazione degli operai deve essere opera degli stessi lavoratori, come prescriveva uno dei più noti precetti mazziniani. L’educazione viene così generalmente concepita come strumento di promozione sociale nel quadro più vasto della formazione umana e pertanto non si indicano impegni educativi diversi da quelli coltivati nel sistema scolastico vigente. D’altra parte la direzione borghese della maggior parte delle società operaie di mutuo soccorso affida all’accesso alla cultura dominante da parte dei ceti soggetti una funzione di contenimento delle istanze innovatrici, attraverso l’adesione ai principi del più grigio legalitarismo.

All’indomani dell’unità d’Italia, gli elementi che avevano sorretto da posizioni democratiche e radicali la battaglia per la liberazione del Mezzogiorno, si trovano ben presto a dover affrontare i problemi della organizzazione operaia in forme autonome, per l’emancipazione delle classi lavoratrici. Oscillano fra mazzinianesimo e bakouninismo per molti anni, mentre senza effetti risulta la propaganda internazionalista contro l’egemonia borghese sul movimento operaio[4].

Nel contesto di tali rapporti, il problema educativo viene presentato dagli internazionalisti essenzialmente come rigetto totale del sistema formativo dominante, mentre i dirigenti borghesi propongono il semplice allargamento della scolarità ai lavoratori, che non metta in crisi, nella ripetitività della cultura di base, la stessa ripetizione sociale nei rapporti di lavoro. Lo stesso mazzinianesimo viene ridotto ad una sorta di predicazione morale, privandolo dell’ansia sociale che gli è propria.

Si fondono allora scuole serali per lavoratori finalizzate a cooptare, attraverso l’istruzione, i figli dei lavoratori nell’area di potere borghese, mentre il partito socialista pone la questione educativa come questione di un tipo diverso di cultura cui devono formarsi i lavoratori, indicandolo nell’istruzione tecnica e professionale e credendo così di battere il discorso borghese, col semplice rigetto della cultura umanistica. Si finisce così con l’accettare, nella pratica educativa, ciò che si esclude sul piano dei principi, e cioè il rifiuto della divisione del lavoro non porta a rifiutare la divisione della cultura.

Sorgono intanto alcune iniziative degne di nota. A Palmi, nel 1877, la locale società operaia, con presidente onorario Giuseppe Garibaldi, istituisce una scuola di disegno e nel 1914, con somme proprie, contribuisce all’istituzione di una scuola tecnica. A Fagnano Castello, nel 1904 lo stesso anno della sua fondazione, la Società operaia di mutuo soccorso propone l’istituzione di scuole serali per lavoratori, in base alla legge dell’8 luglio 1904. ”Constatate le inadempienze del Comune – si legge nel verbale della seduta tenuta nel mese di dicembre –  essendo in palese difficoltà e non potendo quindi provvedere all’apertura della scuola, la società operaia si addossa la responsabilità dell’apertura della scuola: spese dei locali, illuminazione, suppellettile scolastica”[5].

Episodi del genere si verificano un po’ dappertutto, ma per la loro inconsistenza e soprattutto per la mancanza di continuità nelle iniziative intraprese, non conferiscono interesse ad una ricostruzione completa e rigorosa, mentre vale la pena di considerare le discussioni avvenute in seno ai congressi operai sul problema dell’istruzione.

I congressi stentano a diventare un fatto costitutivo in seno al movimento operaio calabrese. Le società operaie e i circoli internazionalisti vivono isolatamente e atomisticamente il problema dell’emancipazione delle classi lavoratrici, impediti nel collegamento fra le diverse iniziative dalle difficoltà di comunicazione in una regione, in cui, dall’unità in poi, le condizioni di degrado socio-economico vanno incontro ad una fase di acuta accentuazione. In questo contesto il momento culturale si esaurisce nell’interesse per temi e problemi totalmente avulsi dalla ricerca di un ruolo autonomo degli intellettuali, volto allo studio delle forme e dei modi con cui accompagnare i progetti di rinnovamento che pure non mancano. D’altra parte i rapporti sociali, specie in agricoltura, escludono che possa formarsi una classe dirigente con una propria cultura del cambiamento, mentre permane, a livello piccolo borghese, il ricorso ad una cultura della conservazione segnata dalla riduzione dell’impegno intellettuale a vieti interessi retorici e di colore, nella nostalgia per il passato della regione, presentato come ricco di fermenti e di realizzazioni.

Una cultura estranea e indifferente alla ricerca di nuovi equilibri sociali, a sostegno di un “blocco agrario”, le cui origini risalgono al XVI sec. e che si confermeranno anche dopo il plebiscito del 1860, che sancisce l’unione della Calabria al Regno dei Savoia. Non sono mancati certo momenti di grande impegno civile, dal tentativo rivoluzionario di Tommaso Campanella alle vicende del 1848, quando la spinta al rinnovamento si manifesterà più compiutamente, appoggiandosi su ideali liberali e democratici con aperture di indubbio segno socialista[6]. E tuttavia la storia sociale della Calabria fa registrare solo “momenti di debole trasformazione” (Cingari), caratterizzate, dopo il ’48, dal crollo della spinta democratica e radicale.

Il movimento operaio risentirà della caduta della spinta rivoluzionaria seguita al ’48 e all’egemonia moderata che si impone in seno al movimento garibaldino, che si rifletterà, con finalità infrenanti e gattopardesche, nella direzione borghese delle prime organizzazioni dei lavoratori. Ridotto Garibaldi all’esaltazione storica, ridimensionata l’ansia sociale del mazzinianesimo e vanificati i tentativi insurrezionistici degli anarchici, l’egemonia borghese si trova così nelle condizioni di gestire senza contrasti efficaci nell’apoliticità e nel legalitalismo, il movimento operaio delle origini, in cui il problema della scuola viene presentato in base ai parametri, più che moderati conservatori[7].

Tale considerazione del problema non cambia neppure dopo lo svolgimento dei primi congressi operai, che incominciano a Catanzaro nel maggio del 1896. In quest’occasione il problema dell’istruzione non viene neppure affrontato, mentre al secondo congresso, che si svolge a Reggio Calabria un anno dopo, si sviluppa un modesto dibattito su questioni assistenziali, come la tutela degli orfani, e viene approvata una mozione, contro la quale si pronunciano i delegati di Catanzaro, di condanna della “tendenza ad abbandonare la tradizione dell’arte e del mestiere col pretesto di proseguir l’istruzione”[8]. Una relazione di Alfonso Frangipane sull’istruzione professionale si ha invece al terzo congresso, che si convoca a Nicastro nel settembre del 1908, l’anno del terremoto che sconvolse la provincia di Reggio Calabria. Il disastro tellurico viene ad aggravare le condizioni di miseria della Calabria, come sempre accade quando eventi naturali disastrosi si abbattono su regioni in cui lo stato di degrado è già in una fase di acuta manifestazione. In Calabria poi, appena tre anni prima, un altro terremoto aveva distrutto interi paesi: dal 1905 al 1908 si passa “da un disastro ad una catastrofe”[9]. In seguito a questi tristi eventi, insieme allo stato di miseria e di abbandono, l’alta percentuale di analfabeti attira l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e l’interesse di intellettuali e di studiosi: nel 1901 a Cosenza si era raggiunta la punta del 79,18% di analfabeti, a Catanzaro il 78,28, a Reggio Calabria il 76,68. Dati questi che, se pure rivelano un miglioramento rispetto ai censimenti precedenti, vanno sempre confrontati con la popolazione residente. E allora ben si vede come le percentuali indicate non tengono conto dell’emigrazione e degli effetti che ne conseguono sul fenomeno indagato.

Le condizioni della scuola si manifestano in modo da far parlare di vero e proprio “martirio” a Umberto Zanotti-Bianco[10] , che insieme a Giovanni Malvezzi conduce poi uno studio sui comuni dell’Aspromonte denunciando che pur destinando il 21 per cento dei bilanci alla spesa per la scuola, essa risulta comunque inferiore alla metà della media nazionale per abitante[11]. Ma l’osservazione più interessante, in una ricostruzione storica dei problemi dell’istruzione nell’area indagata, è un’altra: “Il problema dell’istruzione nel Mezzogiorno – si afferma – è, soprattutto, un problema di educazione sociale e per rimediare al tempo perduto conviene prendere la nuova generazione dell’infanzia, negli asili, guidarla attraverso le scuole, non abbandonarla neppure dopo finito l’insegnamento obbligatorio, per mezzo delle biblioteche, dei ricreatori, delle scuole serali e domenicali. Purtroppo per il compimento di quest’opera, le somme stanziate dai bilanci comunali sono insufficienti, bastano appena a impedire un maggior grado d’ignoranza, ma con ciò la scuola non riesce a diffondere calore nella vita sociale”[12].

Le statistiche ufficiali rivelano in effetti che nel 1901-1902 nei 413 comuni della Calabria 20 soltanto sono gli asili infantili, di cui 15 in provincia di Cosenza e appena 3 in quella di Reggio Calabria, per arrivare ai 2 di Catanzaro. Le scuole serali e festive poi, pur aperte in vari comuni, hanno un trascurabile tasso di frequenza, mentre solo in pochissimi centri si trovano biblioteche funzionanti, sia magistrali o scolastiche, sia popolari[13]. L’istruzione professionale risulta limitata alle scuole di agricoltura[14], e l’edilizia scolastica è del tutto insufficiente e in condizioni tali da osservare a Malvezzi e Zanotti-Bianco: “Viene voglia di domandare se non è da preferire che i ragazzi restino ignoranti senza conoscere la scuola, piuttosto che mandarli a infradiciare e infanghire in locali simili alle case di pena”[15].

In presenza di tali condizioni è emblematico della visione arretrata che anima i dirigenti del movimento operaio calabrese il fatto che additano nella istruzione soltanto un momento di distrazione dalle attività, meramente esecutive, cui vorrebbero destinare i lavoratori. Ben diversa considerazione incontra invece il problema educativo in seno al nascente partito socialista, in cui confluiscono intellettuali impegnati anche nella ricerca oltre che nell’insegnamento: Pietro Mancini tiene la cattedra di filosofia al Liceo “B. Telesio” di Cosenza e Pasquale Rossi, studioso di demopsicologia , regge la vicepresidenza dell’Accademia Cosentina[16].

Per il Rossi il problema fondamentale è quello di creare una cultura popolare idonea ad accompagnare le battaglie per il progresso sociale e civile. La fiducia nella cultura come fattore di progresso generale, oltre che di elevazione morale dei ceti subordinati, lo porta a riprendere i temi della polemica contro la cultura classica, che per molti versi anticipa le pesanti accuse di Salvemini contro la piccola borghesia meridionale. L’attacco a questa classe egemone anche in Calabria, è di per sé rigetto del tipo di cultura di cui si avvale nella sua formazione. “La cultura negli strati superiori – afferma nella sua opera maggiore – è monca ed unilaterale: diretta non già ad avere un fondo di sapere generale veramente moderno, indispensabile, sul quale si aderga la coltura specializzata in questo o quel campo, ma a ribadire la vieta coltura classica , dove si glorifica una civiltà da noi lontana e che, dinanzi al carattere moderno, dovrebbe sembrarci barbara”[17]. Da qui la necessità di una cultura nuova e diversa, che accompagni l’azione politica per risolvere i gravi problemi della società calabrese e della classe operaia. Ma Pasquale Rossi non va oltre la creazione di un Circolo di Cultura, mentre la sua attività di consigliere provinciale e di pubblicista (dirige anche un giornale, “Il Domani”, che dibatte a più riprese il problema della scuola) è condizionata dal prevalente interesse a sottrarre il movimento operaio all’egemonia borghese, la cui influenza si fa sentire anche sul quarto congresso, che si celebra a Siderno nel settembre del 1911.

Nei due anni che separano il congresso di Siderno da quello di Nicastro, la legislazione scolastica, inserita in quella speciale della Calabria, che segna un momento di grande interesse nell’età giolittiana, offre la possibilità di istituire, nel 1909, scuole normali femminili a Reggio Calabria e a Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) e una maschile a Catanzaro[18], per la formazione di insegnanti da impiegare nella istruzione di base. A Siderno si affronta il problema delle mutue scolastiche e ancora Alfonso Frangipane riferisce sull’istruzione professionale e sulle biblioteche. Un interesse, quello per l’istruzione, che trova sempre maggiore spazio in seno al movimento operaio, fino ad arrivare al quinto congresso durante il quale si assumono responsabilità ben definite.

La ragione di tanto è da individuare nella cresciuta domanda di istruzione, favorita, come già detto, dagli “americani” e che fa abbassare la percentuale di analfabeti nella regione. Al congresso di Catanzaro, nel settembre del 1913, Michele Tedeschi un avvocato che dirige una società operaia, relaziona sull’istruzione in Calabria, riferendo sulla situazione nei patronati scolastici, nelle scuole rurali e negli asili, per rappresentare “l’urgente bisogno di intensificare seriamente lo svolgimento di un programma amministrativo e politico, inteso alla conquista della cultura e dell’educazione popolare”[19]. Presenta poi nelle conclusioni proposte precise e dettagliate, fra le quali si segnala quella sulla richiesta di reclutare gli insegnanti nelle scuole miste, a prescindere dal sesso, per sopperire alla mancanza di maestre nei comuni rurali. Si fanno poi voti perché le amministrazioni comunali e provinciali procedano all’ampliamento dei convitti normali e femminili e concedano i sussidi previsti dalla legge 4 giugno 1911 e perché si pervenga all’equiparazione degli stipendi dei maestri delle scuole rurali a quelli dei docenti delle scuole urbane. Si richiama poi l’attenzione di comuni e province sulla necessità di provvedere a delineare una politica di edilizia scolastica che consenta di togliere gli scolari dalle “catapecchie insalubri” in cui vengono ospitati. Viene anche prospettata l’urgenza di creare patronati scolastici e dopo scuola, nella certezza che l’educazione popolare debba essere integrata con la creazione di istituti preparatori, in mancanza dei quali l’obbligo dell’istruzione sarebbe solo “un’amara ironia”. La relazione Tedeschi viene approvata all’unanimità[20], senza dibattito in fondo, anche se non mancano motivi per discutere. Tedeschi, nella sua mozione, non solo chiede di trasformare i patronati scolastici in istituti di stato, ma avanza anche nelle proposte operative indicazioni, appena accennate, di carattere pedagogico, quando suggerisce la creazione di scuole froebeliane.

I riferimenti alle questioni retributive degli insegnanti e allo stato giuridico della categoria, che la Camera in quei giorni discute, fanno piuttosto sorgere il dubbio che la relazione Tedeschi non sia più interessata ai problemi dei docenti che non a quella degli scolari o al tipo di educazione da proporre ai ceti popolari. Certo la questione retributiva è molto sentita all’interno della scuola calabrese, tanto che si arriva persino a scioperare, come avviene un anno prima a S. Marco Argentano, in una regione dove pochi anni prima i prefetti, in occasione di scioperi nazionali potevano tranquillamente assicurare il ministero dell’Interno che la Calabria è la regione che non sciopera[21]. E tuttavia i problemi della categoria magistrale non sono i soli a meritare l’esclusiva della valenza moderata caratterizzante i problemi dell’istruzione in Calabria. Ma la direzione  moderata del movimento operaio arriva persino a ignorare le aspettative che le forze lavoratrici calabresi affidano alla istruzione. La valutazione dell’accesso all’istruzione come distrazione dei ceti rurali subalterni dalla “tradizione delle arti e dei mestieri”, contenuta nella motivazione approvata al primo congresso, continua a far testo anche nella relazione di Alfonso Frangipane sull’istruzione professionale. Rilevato come questa, poco diffusa in Calabria, sia “spesso non compresa aiutata”, ravvisa “la necessità che di essa la classe operaia si serva per integrare la cultura e l’istruzione di ogni giovane artiere, che debba subito divenire degno conoscitore di mezzi tecnici progredito e degno della civiltà nuova”[22].

Una posizione che, attraverso l’istruzione professionale, destinata ai giovani artieri soltanto, tende ad escludere i figli delle famiglie proletarie dalla cultura così come era intesa dalle classi egemoni. Ma il Frangipane tenta di superare l’ostilità all’istruzione popolare dei dirigenti più retrivi delle società operaie, prospettando i vantaggi che possono derivare dall’educazione tecnica e professionale al progresso della Calabria, in anni in cui si fanno sentire gli effetti, sia pure modesti e limitati, del decollo industriale che segna l’avvento del giolittismo. Nello stesso tempo delinea un ruolo non certo primario delle classi lavoratrici, le cui premesse politiche vanno ricercate nell’interpretazione della legislazione speciale per la Calabria in senso moderato. Le province calabresi, afferma, hanno bisogno non solo di scuole industriali “ma specialmente di molte scuole di primo grado per l’artigianato, per i capimastri, per la manodopera necessaria alle industrie locali piccole e grandi, per le industrie femminili, di molte scuole operai 23, agevolandosi la frequenza del popolo e dando immediati vantaggi”[23]. Viene così delineata una cultura della subalternità, finalizzata ad assicurare alle modeste iniziative industriali della regione nel primo quindicennio del secolo, la manodopera indispensabile e che sia educata ad assumere mansioni e funzioni ausiliarie. In questo quadro è escluso ogni riferimento alla cultura come strumento di maturazione personale e di crescita civile della società nel suo complesso. La scuola deve invece “rispondere ai veri bisogni ed alle qualità tradizionali dell’artigianato e delle industrie calabresi, nonché alle esigenze delle nuove industrie edilizie e silane”[24]. Una concezione decisamente riduttiva dell’istruzione popolare, che supera in arretratezza persino le proposte delle componenti più retrive del movimento operaio italiano, anche quando Frangipane, quasi per compenso alla settorializzazione della cultura e alla destinazione quasi esclusiva ai lavori oggi definiti sgraditi dei ceti subalterni, riconosce specie nelle scuole di disegno, istituti finalizzati all’educazione “dello intelletto e del senso estetico”[25].

La stessa società operaia moderata di Roma aveva proposto, nel 1871 all’interno del Patto di Fratellanza mazziniano, il concetto di educazione per l’emancipazione della classe operaia, più che quello di istruzione[26]; e, nel Mezzogiorno, al congresso di Napoli del 1889, fra i quesiti posti all’ordine del giorno figurava la “Convenienza di un Progetto tipo di scuola popolare con un programma unico per generalizzare un’educazione democratica nell’intero paese”[27]. Ma già al congresso di Asti del 1853, il primo della serie dei congressi operai, il quesito principale era “Quale istruzione convenga agli operai e quali i mezzi più acconci per conseguirla”. In quell’occasione si deliberò di chiedere l’istituzione di scuole serali e domenicali e di sancire nel regolamento di ogni società operaia l’obbligo della frequenza da parte dei soci[28], mentre al congresso di Voghera del 1857 veniva sollevata la questione dell’obbligatorietà della scuola primaria[29] e al congresso di Firenze del 1861 si arrivò ad auspicare la diffusione dell’istruzione nelle campagne, “per emancipare i contadini dall’influenza pretina e per diffondere lo spirito di associazione”[30].

Nella relazione di Giuseppe Casalinuovo si rinvengono elementi per definire ancor meglio la posizione delle società operaie a direzione borghese sui problemi dell’educazione. Riferendo sulle biblioteche, denuncia il disinteresse delle società operaie per questa istituzione, dimenticando che “nei loro statuti c’è un obbligo particolare di promuovere l’immegliamento intellettuale dei soci”[31] e continuando invece a funzionare da organismo di supporto alle fazioni borghesi che si contendono il potere nei comuni nel disinteresse totale per l’emancipazione operaia[32].

I dirigenti delle società operaie però sono anche dirigenti delle amministrazioni comunali, secondo la pratica ricorrente dell’occupazione dell’area di potere da parte della piccola borghesia e della borghesia terriera, nel quadro di una politica che denota momenti di diffusa latitanza per i problemi dell’educazione. Casalinuovo ritiene che la soluzione del problema consista nell’obbligare le organizzazioni operaie del mutuo soccorso a provvedere direttamente e autonomamente all’istituzione di biblioteche popolari, in collaborazione con la federazione nazionale delle biblioteche[33].

La relazione dell’avvocato Casalinuovo è approvata anch’essa alla unanimità come quella sulla mutuata scolastica presentata da Giovanni Macaruso, che denuncia le difficoltà in cui si svolge il discorso mutualistico in Calabria nel campo dell’istruzione. Non si riesce a sensibilizzare le società operaie sulla necessità di superare l’isolamento in cui operano e sui vantaggi della mutualità che sono “grandi ed essenziali, economici ed educativi, per la redenzione del nostro popolo”[34].

Si conclude così la fase non certo esaltante del mutualismo operaio calabrese, che se non riesce a darsi autonome forme di organizzazione cooperativa in campo economico, allo stesso modo si rivela incapace di provvedere alla propria emancipazione attraverso l’attuazione di un autonomo sistema educativo. Le rare esperienze di scuole finanziate e gestite dalle società operaie si esauriscono all’interno del sistema scolastico vigente, venendosi tutt’al più a configurare come occasione per far accostare i ceti subordinati ad un tipo di acculturazione che, attraverso itinerari formativi tecnico-professionali, relega i soggetti che vi partecipano alla semplice acquisizione di abilità funzionali e operative, prive di autentici educativi che possano favorire la crescita morale e civile.

Nello stesso tempo c’è da rilevare che la funzione del movimento operaio organizzato nelle società del mutuo soccorso è un fatto storicamente concluso. Il proliferare di tali organismi anche in età giolittiana è un tentativo, peraltro spesso riuscito, di tenere lontano il mondo operaio calabrese dall’influenza del partito socialista, così come nel secolo scorso il problema era quello di preservarlo dall’influenza anarchica e internazionalista. In Calabria sopravvive ancora come strumento per organizzare il consenso elettorale intorno alla borghesia terriera, che esce indenne anche dalla prova del 1913 svolta col suffragio universale maschile. In questo quadro il problema educativo è costretto nei limiti della visione angusta dei problemi di governo che è propria della classe dirigente calabrese del tempo. Ma ormai, anche all’interno del movimento operaio, il problema del governo ha superato i termini con cui veniva posto nel secolo scorso. La prevalenza nel partito socialista e nel movimento sindacale delle tesi riformiste riconosce allo stato il diritto e il dovere di intervenire anche nel campo dell’educazione a sostegno delle nuove forme di produzione e di gestione dello sviluppo economico.

Enrico Esposito



[1] Vita Nuova, La piaga dell’analfabetismo si va rimarginando, n. 31 del 23 settembre 1914, pubblicato in Franco Alimena, Nicola De Cardona e la questione operaia in Calabria, Fasano, Cosenza, 1977, pp. 133-134.

[2] Gastone Manacorda, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi (1853-1892), Editori Riuniti, Roma, 1974. Sull’indirizzo mazziniano cfr. Bruno Di Porto – Lucio Cecchini, Storia del patto di Fratellanza, Edizioni della Voce, Roma 1981 e Tina Tomasi, L’impegno di Mauro Macchi per un’educazione democratica, in “Bollettino della Domus Mazziniana”, Pisa, XXVII 1981 n.2.

[3] Cfr. su questi temi nel Mezzogiorno Angelo Broccoli, Educazione e politica nel Mezzogiorno d’Italia (1767-1860), la Nuova Italia, Firenze 1973, 2ª rist., specie le pp. 230 e sgg.

[4] Enrico Esposito, Il movimento operaio in Calabria (1870-1892). L’egemonia borghese, Pellegrini, Cosenza 1977.

[5] D.A. Cardone, S.O.M.S. 1° Centenario – Palmi 1876-1976, Tip. La Rapida, Gioia Tauro 1976, pp. 8-9; Atti della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Fagnano Castello, conservati nella sede sociale e direttamente consultati dall’autore di queste note.

[6] Gaetano Cingari, Per una storia della società calabrese nel XVI secolo, Brenner, Cosenza 1964; idem, Romanticismo e democrazia nel Mezzogiorno, ESI, Napoli 1965; idem, La Calabria nella rivoluzione del 1860, in “Archivio storico delle province napoletane”, N.S., XL, 1967, pp. 235-307.

[7] Enrico Esposito, op. cit., pp. 19-26; Giuseppe Masi, Socialismo e Socialisti in Calabria (1860-1915), Casa Editrice Meridionale, Chiaravalle C.le, 1981.

[8] Giovanni Mastroianni, Cultura e società in Calabria fra l’otto e il novecento, Frama Sud, Chiaravalle C.le, 1981.

[9] Gaetano Cingari, Storia della Calabria dall’Unità ad oggi, Laterza, Bari, 1982, pp. 159-170.

[10] Umberto Zanotti-Bianco, Il martirio della scuola in Calabria, Vallecchi, Firenze 1925.

[11] Gaetano Cingari, op. cit., p. 200.

[12] Giovanni malvezzi – Umberto Zanotti-Bianco, L’Aspromonte occidentale, Milano, 1910, pp. 59 e sgg.

[13] Gaetano Marafioti, L’istruzione nel reame di Napoli durante il decennio dei Napoleonidi (1806-1815), Pellegrini, Cosenza, 1967, pp. 120-121.

[14] R. Tommasi, Regia Scuola pratica di Agricoltura di Cosenza – Relazione sull’operato dell’impianto fino al 1903; idem, Regia Scuola pratica di Agricoltura di Cosenza – Relazione sul quinquennio 1900-1905, Catanzaro 1906.

[15] Giovanni Malvezzi – Umberto Zanotti-Bianco, op. cit., pp. 63 sgg.

[16] Enzo Ziccarelli, Pietro Mancini pioniere del socialismo in Calabria, Fasano, Cosenza, 1976; Tobia Cornacchioli, Questione culturale e Mezzogiorno, La svolta culturale dell’Accademia Cosentina durante la vice-presidenza diPasquale Rossi (1903-1905), Fasano, Cosenza 1981.

[17] Pasquale Rossi, L’animo della folla, Tip. Riccio, Cosenza, 1898, p. 165.

[18] Gaetano Marafioti, op. loc. cit.

[19] Resoconto del V Congresso Operaio Calabrese, Catanzaro 20-21 settembre 1913, Tip. “Popolare” di G. Abramo, Catanzaro 1913, p. 26.

[20] Resoconto ecc., cit. , pp. 28-29.

[21] Vittorio Cappelli, Il movimento operaio e contadino in Calabria, attraverso il giornale socialista “Vita Nuova”, (1913-1915), in Autori Vari, Storia e Cultura del Mezzogiorno – Studi in Onore di Umberto Caldora”, Lerici, Cosenza 1979, p. 535.

[22] Resoconto ecc., cit. , pp. 33.

23 Il corsivo è nel testo.

[23] Resoconto ecc.,op. loc. cit.

[24] Ibidem.

[25] Resoconto ecc., cit. , pp. 34.

[26] Gastone Manacorda, op. cit., p. 100; Bruno Di Porto – Lucio Cecchini, op. cit., pp. 81-105.

[27] “L’Emacipazione”, Roma, IV, n. 22 del 28 luglio 1889; Gastone Manacorda, op. cit., pp. 276 e sgg.

[28] Gaetano Manacorda, op. cit., pp. 59-60.

[29] Idem, p. 68.

[30] Idem, p. 90.

[31] Resoconto ecc.,op. loc. cit.

[32] Enrico Esposito, op. loc. cit., passim.

[33] Resoconto ecc.,op. loc. cit., p. 35.

[34] Ibidem.