Una Resistenza sempre più indebolita

Un 25 aprile amaro per chi scrive. Negli anni precedenti veniva chiamato nelle scuole della provincia cosentina a celebrare la Liberazione, in quanto vicepresidente dell’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea. Quest’anno invece niente.  Che ci sia stato il lungo week end è indubbio, ma la spiegazione non può essere questa, e non lo è. Bisogna riconoscere che è dall’inizio degli anni Novanta che si è avviato un processo di indebolimento della memoria del 25 aprile. Gli istituti di ricerca storico-politica sull’antifascismo non vengono più sostenuti come un tempo e quello calabrese, che dal 1983 aveva sede a Cosenza centro, da qualche anno ha trasferito le sue cose all’Università della Calabria, non potendo più sostenere le spese di gestione, dal fitto ai tributi sui servizi. In tante regioni italiane analoghe iniziative devono superare indicibili difficoltà di gestione, che rallentano e a volte mortificano la ricerca delle fonti, il loro archivio e la loro destinazione agli studiosi. Intanto si va affermando l’idea che fascismo e antifascismo sono ormai superati, che la Resistenza fu una guerra civile, che partigiani e repubblichini di Salò vanno ricordati e onorati allo stesso modo, e via dicendo. Nel frattempo il 25 aprile s’è trasformato spesso in occasione di scontro nelle piazze per aver consentito di recepire nelle celebrazioni motivi ed elementi estranei al significato delle manifestazioni stesse, a incominciare dalla questione palestinese, degna di considerazione senza dubbio, ma proprio per questo non degna  di essere strumentalizzata nelle piazze che ricordano la fine della dittatura fascista e dell’occupazione nazista. Se tanto è avvenuto, la spiegazione è da ricercare nella messa tra parentesi dell’importanza della Lotta di Liberazione nella formazione della democrazia repubblicana in Italia. Inevitabile effetto, questo, dell’altra menzogna dei giorni nostri sull’inesistenza ormai della distinzione tra destra e sinistra. Che l’antifascismo sia nel patrimonio genetico della repubblica italiana è ormai diventato soltanto uno slogan innocuo. Che l’Antifascismo sia un fatto storico, come affermò un leader di estrema destra, è stato da tutti salutato come una prova di avvenuto sdoganamento di un partito violento nato dalle ceneri incombuste del fascismo. Pochi si resero conto che era un’affermazione che consegnava l’antifascismo alla storia, intesa come raccolta di fossili del passato senza più alcuna incidenza sulla vita civile e politica contemporanea. Da qui un sordo, inarrestabile allontanamento dallo spirito che dovrebbe animare l’educazione politica oggi. E nemmeno le spericolate riforme costituzionali sembrano estranee a questo atteggiamento. Invocare la funzione della scuola per  ridare vigore al culto della resistenza è sempre utile e opportuno. A patto che si ricordi che la scuola stessa è solo una delle agenzie di educazione, che deve poter interagire con le altre. In questo quadro gli esempi politici sono sempre più importanti. E se a qualcuno venisse in mente di chiedersi qual era lo spirito del 25 aprile, farebbe bene a ricordare quanto affermava Giorgio Amendola: “In quella primavera del ’45 niente sembrava impossibile”, per costruire un’Italia libera e democratica. A quei giorni sarebbe bene tornare. In fondo aveva ragione anche Heidegger quando ammoniva che “il futuro è nelle origini”. Oggi più che mai.

 

Enrico Esposito