Uno spettro s’aggira per l’Europa, sarà il populismo?

La parola non fa più paura e non provoca più irrisione, anzi da più parti la si considera come proprium della politica. Che cosa ci può essere di più accattivante e convincente che appellarsi al popolo e considerare il popolo stesso come l’unico depositario di valori positivi, non negoziabili, permanenti e irrinunciabili? Perché in fondo il populismo è questo: riferire tutta l’azione politica al popolo, considerato come un aggregato compatto e indivisibile. Poco importa se  non è una dottrina politica vera e propria. Alcuni politologici lo considerano piuttosto una sindrome, non fosse altro perché si tiene ben lontano da qualsiasi elaborazione teorica, con caratteri di sistematicità e organicità. Se questo è vero, è illusorio pretendere dal populismo coerenza e linearità nelle scelte politiche, giacché si affida alla casualità e, purtroppo, all’improvvisazione e alla radicalità che l’occasione richiede o impone.  Essenziale rimane comunque la convinzione che la virtù è connaturata al popolo e che la legittimità è nel popolo radicata, e ancora che la volontà del popolo è assoluta e determinante e per questo va ricercata e realizzata la relazione diretta tra popolo e leadership, al di là di tutte le intermediazioni. Il popolo come mito, insomma, e oggi più che mai in Europa si ente la necessità del mito come elemento unificante nella disgregazione  conseguente ad una globalizzazione indiscriminata e indifferente alle effettive necessità del popolo o della gente, come si diceva fino a non molto tempo fa. Ma c’è dell’altro: il populismo non contempla la lotta di classe, anzi è sostanzialmente portato alla conciliazione e punta sull’attrazione del potere nell’area delle esigenze popolari, di conseguenza non è nemmeno rivoluzionario, non può esserlo. E’ solo protesta allora? Sarebbe riduttivo affermarlo, mentre appare più coerente affermare che non è programmatico il populismo, ma è moralistico piuttosto (“onestà, onestà!”).  In questo senso non si concilia né con l’internazionalismo né con il militarismo. Se poi si vuole cercare di capire dove s’annida il populismo, allora la sindrome si rivela attaccata a tutti i partiti in Europa, sia a quelli al potere sia a quelli d’opposizione. I partiti si rincorrono a chi la spara più populista dell’altro. In Italia la leadership è arrivata a far propria la campagna antiparlamentare sostenendo che un certo numero in meno di senatori avrebbe causato chissà quali magnifiche sorti  e progressive e che l’economia avrebbe tratto mirabolanti vantaggi dalla riforma costituzionale, fortunatamente bocciata proprio da quel popolo cui tutti si appellavano. Vero è che ricorre, e non da oggi, la pratica di sfidare l’avversario sul suo stesso piano propagandistico, ma è quanto meno ipocrita adottare forme di comunicazione populistica rimproverando poi ai concorrenti di fare la stessa cosa.

Ma oggi il problema si pone din termini diversi. La democrazia in Europa deve rispondere alla domanda di maggiore partecipazione del popolo alle decisioni politiche. In questo quadro il populismo è destinato ad espandersi, se la democrazia stessa non sarà in grado di corrispondere alle attese di espansione dei diritti. Pensare  che sia sufficiente il diritto di concorrere alla gestione della cosa pubblica ( la famosa res publica)  solo con il voto ogni cinque anni o poco più non è ormai più possibile. Vanno dilatati gli spazi di democrazia partecipativa e decisionale. La scommessa dei prossimi anni è tutta qui. Pensare di farlo soltanto riducendo il numero dei parlamentari o escogitando leggi elettorali per togliere spazio alle formazioni politiche minori non è un buon viatico. Si tratterà allora di riflettere sulla proposta di Carlo Formenti (La variante populista, Derive Approdi) di reagire all’utopia neoliberista ripartendo proprio dalle categorie di sovranità popolare e senso della comunità d’interessi specie nei casi di diffusa sofferenza sociale. Un po’ di populismo anche a sinistra? Non ci sarebbe niente di male, a patto che non si precipiti nella demagogia, come purtroppo oggi sta accadendo.

 

Enrico Esposito