Che cosa fare del passato?

Il passato, un tormento o una speranza, nostalgia o sfida per il futuro? Sono gli interrogativi che ci accompagnano nella vita ogni volta che siamo chiamati a fare i conti con quanto abbiamo vissuto. Inutile ricordare che di questi tempi va di moda pensare al passato con nostalgia per i presunti bei tempi andati, specie in Calabria. La rete è stracarica di richiami al tempo che fu, immancabilmente presentato come bello se non addirittura sublime nella sua irripetibilità. Immagini dei tempi andati si sprecano a corredo di struggenti ricostruzioni degli anni in cui Betta filava. Di rado si ricorda o si precisa che quelli erano tempi di miseria, di ignoranza, di prepotenza e di prevaricazione, per non parlare della fastidiosa promiscuità familiare spesso origine e causa di incesti e violenze sessuali di ogni genere. Ma è il prezzo che i laudatores temporis acti sono ben disposti a pagare, pur di non compiere il minimo sforzo per rivolgere al passato uno sguardo critico e laico. Ce lo ricordava Ralf Dahrendorf: il passato non va demonizzato né esaltato, mentre ne vanno realizzate le speranze. Il che significa riprendere i progetti, i programmi, i propositi, i desideri che non è stato finora possibile realizzare e tentare di finalmente di attuarli. Non si tratta allora di macerarsi in laceranti nostalgie o di incattivirsi in ruvide condanne senz’appello. Sarebbe invece il caso di ritornare alle attese mancate, alle speranze non realizzate, e non realizzate ancora- è il caso di precisare. Il passato diventa così una inesauribile miniera di risorse che attendono la loro concretizzazione. Del resto è questa, ancora oggi, la forza del cristianesimo, giusto per fare un esempio storico di grande rilevanza, e cioè essere tuttora una risorsa per il mondo contemporaneo. E non da oggi, ma da due mila anni. E continuando con gli esempi, il socialismo liberale è una di quelle speranze che non è stato possibile realizzare. Concepito negli anni Trenta da Carlo Rosselli e teorizzato nel 1940 da Guido Calogero ha incontrato l’opposizione, non tanto e non solo dei conservatori di ogni specie, ma soprattutto dei comunisti, all’epoca guidati da quel ruvido campione del comunismo stalinista, che era Palmiro Togliatti. E oggi? Che fare di quelle speranze? Abbandonarle del tutto o riabbracciarle per portarle finalmente a compimento? La sinistra che si dilania nell’inventare riposizionamenti politici sempre al bivio tra nostalgia e rigetto delle esperienze precedenti può ancora una volta ignorare le teorie politiche di Rosselli e di Calogero, e di tanti altri ancora? O non sarebbe il caso che riconsiderasse le premesse del socialismo liberale? Che qui, in conclusione, si vuole riassumere: “Il liberalismo vuole che fra tutti gli uomini sia egualmente distribuito quel grande bene che è la possibilità di esprimere liberamente la personalità propria, in tutte le concepibili forme di tale espressione: Il socialismo vuole che fra tutti gli uomini sia equamente distribuito l’altro grande bene che è la possibilità di fruire della ricchezza del mondo, in tutte le legittime forme di tale fruizione.” L’incontro di questi due modi di concepire la politica e la società non è ancora oggi auspicabile? Certo, nel 1940 il socialismo era una visione politica che mirava a realizzare la giustizia sociale, intesa come giustizia distributiva. Oggi che la ricchezza del mondo va sempre più assottigliandosi, si ratta di distribuire sacrifici e rinunce, ma non può essere questa la ragione per rifiutare il discorso di coniugare giustizia e libertà. Nel resto dell’Europa ci sono paesi che a questa speranza si ispirano e con ottimi risultati, anche elettorali. Perché in Italia non può avvenire la stessa cosa? Intanto si potrebbe cominciare a rileggere l’aureo libretto di Guido Calogero, L’ABC della democrazia, che contiene anche il primo manifesto del liberalsocialismo, da confrontare con il testo di Rosselli sul socialismo liberale. In entrambi prevale l’aspirazione alla sintesi tra concezioni politiche differenti ma non opposte, rivolte ad unire e non a dividere il corpo sociale. Non sarebbe un buon inizio per una riflessione sull’avvenire in tempi di cannibalismo sociale, di matrice capitalista?

Enrico Esposito