Invidia, spudorata invidia

In questi giorni di furiosa campagna anti reddito di cittadinanza è inevitabile ricordare un celebre processo della fine del quinto secolo avanti Cristo. Siamo ad Atene e un cittadino viene accusato di percepire indebitamente il sussidio previsto dalla polis per gli invalidi. Lui, l’accusato, ha un’evidente menomazione fisica, è claudicante e ha un piccolo negozio. Riceve un obolon (così veniva definito nell’Atene democratica l’assistenza ai bisognosi) per tirare avanti. Ha avuto il padre bisognoso di cure e la madre è morta da poco e con il sussidio della città ha potuto assisterli con un certo decoro. Eppure questa condizione, non certo invidiabile, suscita una grande spudorata invidia, fino al punto che viene portato in tribunale per rispondere dell’accusa di truffa ai danni della polis. Davanti ai giudici il presunto truffatore si difende alla meglio e l’accusatore viene messo alle corde e additato come un essere abietto, mosso solo dall’invidia. Il discorso non è farina del suo sacco. Infatti l’ha scritto per lui Lisia, il miglior avvocato dell’epoca, perché allora in Grecia non c’era la figura del difensore, come a Roma il patronus, e i cittadini, se accusati, si difendevano da soli. Ovviamente non avendo conoscenze giuridiche di alcun tipo ricorrevano agli avvocati, ai cosiddetti logografi, che scrivevano arringhe di difesa per conto terzi. E Lisia fa incominciare il discorso al suo assistito partendo proprio dall’invidia. “Tutto potevo aspettarmi nella vita” esordisce l’invalido “tranne che essere invidiato per la mia infermità. Perché è per questo che voi cittadini mi avete accordato un sussidio, che costui vorrebbe togliermi perché invidioso della mia sorte. Vi ha detto che sono in grado di andare a cavallo, dunque non sarei invalido. E’ vero, vado a cavallo per brevi viaggi, ma monto cavalli a noleggio, dunque non ne sono possessore. Afferma poi che frequento persone che possono spendere e che nel mio negozio si ferma sempre tanta gente. Dimentica di dire però che qui, ad Atene, tutti frequentano i negozi, per chiacchierare, per apprendere le ultime novità della città, non sempre per spendere. Perché mai solo il mio negozietto dovrebbe essere escluso?” E continua su questo tono e su una linea difensiva che fa appello all’evidenza: l’infermità c’è e basta solo questo per dichiarare falsa l’accusa e falso l’accusatore, addirittura un sicofante, un po’ come dire un delatore, una spia, in ogni caso un accusatore senza prove evidenti e inconfutabili. Ma l’invalido, che mai chiama per nome il suo avversario, ma lo indica con un distaccato e sprezzante “questo qui”, non si dilunga molto nella difesa, anche perché il tempo concesso non è molto e la clessidra è quasi alla fine. Gli preme solo dire che se aggiungesse altro in che cosa differirebbe da “costui” che usa le parole solo per offendere, non tanto lui, ma la verità. E’ un’orazione tutta da leggere e dalla quale tanto si può apprendere. Per esempio non basta un’ indagine per togliere il sussidio, ma ci vuole un processo, all’epoca chiamato docimastico. Oggi invece il titolare fraudolento del reddito di cittadinanza deve dimostrare che l’accusa non è meritata, ma intanto l’erogazione del sussidio viene sospesa. Ma l’onere della prova non è dell’accusatore? Non lo dicevano già gli antichi romani: Onus propandi incumbit ei qui dicit? I tempi cambiano e allora … Resta da osservare con amarezza che se tanto accanimento fosse o fosse stato diretto contro grandi e piccoli evasori fiscali, il nostro pil non sarebbe certo quello che oggi grava su ciascun cittadino italiano. Intanto fioccano le segnalazioni e le denunce contro i percettori senza diritto del rdc. Giusto individuare e punire fraudolenti e approfittatori di ogni tipo, ma non approfittiamone per mandare al macero una misura assistenziale che ha arrecato non poco sollievo in condizioni disagiate e non certo invidiabili. Certo chi oggi riceve il sussidio dello Stato non è come l’invalido ateniese del quinto secolo avanti Cristo; come è vero che bisogna distinguere tra un invalido e chi pur non avendo alcuna menomazione percepisce il reddito di cittadinanza senza averne diritto. Ma il discorso sull’invidia, sulla spudorata invidia, rimane valido lo stesso. La guerra tra poveri è sempre attuale e su questo punta chi vuole fare arretrare qualsiasi discorso da welfare state, invocando persino la crisi di questi tempi pandemici. Conforta sapere che invece ci sono paesi, come la Germania, che proprio in questi più che magri tempi il welfare l’ha rafforzato e rimpinguato, sia pure nella prospettiva neocapitalistica di crescita dei consumi, un caposaldo dell’economia neoliberista. E i consumi non crescono se non si può spendere, a causa dei tagli alle misure assistenziali. Quanto al tema della solidarietà, meglio lasciar perdere.

Enrico Esposito