25 Aprile. Liberazione è liberarsi ogni giorno

Celebrare il 25 aprile del 1945 comporta ricordare che liberazione significa essenzialmente liberarsi ogni giorno, non dimenticare mai che la libertà non è un dato acquisito per sempre, ma che invece sempre é minacciata e in pericolo. Oggi più che in passato gli attentati alla libertà sono tali che è difficile individuarli e respingerli. Negli anni della conquista violenta del potere da parte del fascismo, con l’odiosa complicità della monarchia, era per così dire agevole individuare i nemici della libertà: con impunita protervia si presentavano in camicia nera, manganello e stivali neri e lucidissimi. Oggi non è più così: il fascismo predilige altri strumenti di sopraffazione. Non più le aggressioni squadristiche a sindacati, partiti democratici e case del popolo, ma i social dove vomitare gli insulti più repellenti contro le istituzioni democratiche e repubblicane. Non contro le istituzioni degenerate e sfiancate dal malaffare e dalla malavita infiltrata nelle maglie del potere politico, ma contro il parlamento, contro le assemblee rappresentative a tutti i livelli e contro il sindacato, bersaglio privilegiato delle pulsioni autoritarie di ogni tempo. Gli alleati e i fiancheggiator non mancano ieri come oggi e sono sempre gli stessi: il ceto medio deluso e vessato da balzelli di ogni tipo, il rigetto dei ceti dominanti delle istanze del lavoro subalterno, aggravato dall’ostilità contro gli immigrati e via elencando. Individuare queste forme di antidemocrazia, misoneiste e e populiste è il primo passo per contrastare il nuovo fascismo. ” Sarebbe così confortevole” diceva Umberto Eco in un prezioso libretto dal titolo Il fascismo eterno ” se qualcuno si affacciasse e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino in parata sulle piazze italiane’. Ahimè, la vita non è cosi facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme-ogni giorno, in ogni parte del mondo.” (Ur è un prefisso tedesco tradotto in italiano con “eterno”).

In questo senso la lezione della Liberazione del ’45 è tuttora valida. Tra le tante testimonianze dei combattenti per la libertà e la democrazia di quel periodo si preferisce qui riportarne due, che hanno tutto il valore di un testamento. La prima è di un ebanista di 41 anni, condannato a morte dai nazifascisti. E’ un brano dell’ultima lettera ai figli. ” Amatevi l’un l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il miglior ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli. Siate umili e disdegnate l’orgoglio: questa fu la religione che seguii nella vita….muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso brillerà presto anche per voi…”

E mentre tanti si rintanarono nella zona grigia in attesa degli eventi e per conoscere il vincitore da servire, il rettore dell’Università di Padova decise invece di lasciare il suo rassicurante posto per darsi alla clandestinità e raggiunse i partigiani sulle montagne. Si chiamava Concetto Marchesi, eccelso latinista e inimitabile maestro. Un giorno i suoi alunni non lo trovarono in cattedra come al solito. Al suo posto trovarono una lettera del maestro diretta proprio a loro, dove tra l’altro diceva: “Studenti, oggi il dovere mi chiama altrove … mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina; per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga della vostra vita, liberate l’Italia dalla schiavitù e dall’ignoranza, aggiungete al labaro della Vostra Università la gloria di una nuova più grande decorazione, in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace nel mondo.” Una lezione di vita e un monito che forse sono stati presto dimenticati.

Enrico Esposito