Alla fine c’è stata la sconfitta del populismo

Chi l’avrebbe mai detto? In Sicilia la prima vittima dell’astensionismo è il populismo. Sembrava facile la sua vittoria, specie da quando tutti i partiti hanno pigiato il tasto populista a più non posso, dai discorsi incagnati del sedicente leader dei 5 stelle a quelli malcelati delle altre formazioni politiche. Il dato dominante è questo, altro che litigare su chi ha vinto e chi ha perso. Più della metà degli aventi diritto si è tenuta ben lontana dai seggi elettorali. Sorprende che nessuno abbia minimamente previsto che parlare da parte non solo dei pentastellati di non partito e non statuto avrebbe potuto portare al non voto. Ancora più sorprendente che il dato siciliano venga ascritto alle pulsioni populiste dilaganti in tutta Europa. L’astensionismo elettorale non è populismo, anzi i populisti votano in massa e fanno alzare visibilmente l’asticella dell’affluenza alle urne. Il populismo è in fondo partecipazione attiva, se non diventa solo maschera senza volto, per dirla con Pirandello, restando così in Sicilia. L’astensionismo è rigetto, rifiuto, repulsione di un sistema partiti incapace di leggere i cambiamenti intervenuti nel corpo sociale, per poi  tradurre l’analisi  in forme più o meno aperte di partecipazione. Per questo l’amarezza cresce a dismisura. In effetti la speranza che, a incominciare dai 5 stelle, le denunce, le manifestazioni di insofferenza contro un sistema ormai desublimato avrebbero portato ad un aumento dell’affluenza elettorale è andata delusa, con grave danno per la continuità e la vitalità della già tanto depotenziata democrazia italiana. Eppure dopo poche ore dallo spoglio ci si è abbandonati al più vieto sport postelettorale: chi ha vinto, chi ha perso, chi ha raddoppiato i propri consensi, chi ha evitato la scomparsa dalla scena politica e via dicendo. Come sempre, tutti vincitori, nessuno sconfitto, quando è fin troppo evidente che abbiamo perso tutti e tutti siamo vittime e complici della via smarrita della partecipazione democratica.  E le soluzioni per superare l’impasse non sono incoraggianti. Si è ripreso, come se niente fosse accaduto, a parlare di leadership, di premiership, confinando tutte le considerazioni su casi e vicende personali che niente hanno a che vedere con la politica. E invece ci sarebbe tempo per recuperare ai partiti il ruolo loro assegnato dalla Costituzione, che è quello di concorrere alla ricerca del bene comune del paese. Discorsi d’altri tempi, è vero. E tuttavia sono gli unici attuali oggi, a patto che si abbia il coraggio di capire dove si è sbagliato e perché da percentuali bulgare delle prime prove elettorali repubblicane si è arrivati a sparuti gruppi di elettori che si ostinano a votare.

Enrico Esposito