“Amate la libertà, la patria, lo studio e il lavoro”

Il 25 aprile di ogni anno, tra le tante lettere dei condannati a morte della Resistenza scelgo di leggere quella di Pietro Benedetti, un comunista fucilato a 41 anni d’età il 29 aprile 1944 a Roma, Forte Bravetta, dalla PAI (Polizia Africa Italiana).  In poche, toccanti parole, Benedetti, che era un modesto ebanista, lascia un importante testamento ai suoi figli e a tutti noi. Ecco che cosa scriveva dal carcere di Regina Coeli, prima che venisse condannato a morte dal Tribunale di Guerra tedesco di via Lucullo. “Amatevi l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo, e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli. Siate umili e disdegnate l’orgoglio: questa fu la religione che seguii nella vita. Forse, se tale è il mio destino, potrò sopravvivere a questa prova; ma se così non può essere, io muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la forza di affrontare serenamente la morte”.