Crisi liquida?

Da quando nel 2000 Zygmunt Bauman pubblicò Modernità liquida, un libro che divenne un best seller in pochi mesi, da ogni parte si colse solo l’osservazione da cui il filosofo e sociologo polacco era partito. E cioè si è preferito soffermarsi sulla constatazione che nella nostra epoca, con la caduta delle ideologie, eravamo piombati in un fase dominata dalla liquidità, cioè dalla estrema mutabilità delle posizioni politiche, caratterizzata a sua volta dalla rinuncia a programmi di lungo respiro, per consegnarsi all’instabilità e all’imprevedibilità delle scelte che in ogni caso si era chiamati a compiere. Era una denuncia quella di Bauman e nello stesso tempo un auspicio, in quanto richiamava tutti a elaborare teorie politiche nuove e inedite come richiedeva un mondo globalizzato. Prima di tutto si manifestava chiaramente la necessità di rinnovare il linguaggio nella comunicazione politica e di rinunciare a categorie ormai insufficienti a definire i cambiamenti epocali del nostro tempo lungo traiettorie ad andamento impervio e a zig zag, in una perversa commistione tra complessità e modernizzazione. Difficile, se non impossibile, allora che senza una rivoluzione radicale del linguaggio potessero solidificare idee nuove. Tutto sarebbe rimasto liquido, impalpabile, provvisorio e illusorio. Il discrimine di tutto questo è stato senza dubbio la terribile crisi del 2008, con il crollo dei mercati finanziari espanso a macchia d’olio a tutto il mondo, seguita dal crollo delle Torri Gemelle con l’irruzione sulla scena planetaria della pratica terroristica come reazione alla cristallizzazione delle forme di controllo capitalistico delle risorse e delle potenzialità di solidificazione dello sviluppo economico e sociale. In tali condizioni la sola solidificazione che ci siamo trovati di fronte è quella dei muri e delle barriere, con il conseguente rigurgito di pulsioni nazionalistiche, etniche e via elencando. Per di più si è aggiunta la costante del populismo, per cui niente può più esservi di organico o programmatico, ma tutto è occasionale e provvisorio, con il condimento di reazioni di tipo vagamente moralistico, utile ad aggregare grandi gruppi di elettori disorientati e confusi. Non c’è pertanto da meravigliarsi se le posizioni politiche cambiano più di una volta al giorno, se l’avversario diventa alleato da un momento all’altro. E’ l’effetto di una liquidità senza prospettive, forse anche senza speranza, mentre si richiederebbe finalmente un risveglio delle coscienze intorno ad un sistema o ad un complesso di valori solidi e duraturi. Come questo possa avvenire, per esempio in Italia, non è dato per il momento scorgerlo all’orizzonte. Nel pieno di una crisi senza precedenti si è pensato di ricorrere ancora una volta ad una soluzione di tipo “orleanista”, rassegnati totalmente alla primazia della finanza sulla politica. In tale situazione è inevitabile che prevalgano le trovate sulle idee, in una gara indecente a chi la spara più grossa e a chi riesce a sorprendere e disorientare per lucrare qualche vantaggio elettorale immediato e aleatorio. Mentre però si fa di tutto per evitare il ricorso al voto, denso di insidie e di incertezze.

Enrico Esposito