Dieci firme per lo sterminio

“Nessuno dimentichi i dieci scienziati del ’38. Nessuno li perdoni. Si chiamavano Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Sarvognan, Sabato Visco ed Edoardo Zavattari. Legittimarono la deportazione in Germania di ottomila persone, tra cui settecento bambini. Volevano dimostrare che esistono essere inferiori. E ci riuscirono, in prima persona. Perché lo furono.” Questo appassionato appello lanciò Franco Cuomo, quando pubblicò nel 2005 per Baldini e Castoldi Dalai I Dieci, chi furono gli scienziati italiani che firmarono il Manifesto della razza. L’orripilante testo era stato pubblicato da “Il Giornale d’Italia” il 15 luglio del 1938, ma non si sapeva ancora chi l’aveva sottoscritto. Ci pensò il 5 agosto “La difesa della razza”, lo sconcio giornale di regime diretto da Telesio Interlandi, a far conoscere i nomi dei dieci che volontariamente, senza alcuna costrizione, assoggettarono la scienza ai più biechi progetti di eliminazione e sterminio di chi non fosse ariano. L’appello di Cuomo, si diceva, è del 2005, ben 67 anni dopo che quei nomi furono resi noti. Un ritardo che si spiega soltanto con il fatto che quei dieci non solo furono dimenticati, ma furono anche colpevolmente perdonati dalla repubblica democratica. Non si trattò e non si tratta tuttora di memoria corta, ma di un determinato disegno politico, favorito dalle amnistie accordate dai governi italiani, su proposta di Palmiro Togliatti, capo del Partito Comunista e in nome di un’improbabile riconciliazione nazionale dopo la guerra civile culminata con la liberazione d’Italia dal nazifascismo il 25 aprile del 1945. Ancora oggi perdurano comportamenti di colpevole inerzia nei confronti dei fascisti, che si macchiarono di crimini contro l’umanità. E Franco Cuomo attribuisce tanta ignavia al non avere avuto l’ltalia un Simon Wisenthal, che dedicò tutta la sua vita alla ricerca dei criminali nazisti in tutto il mondo. In Italia è accaduto invece che alcuni dei famigerati dieci furono gratificati con l’intitolazione di vie e piazze e persino di scuole, come è stato il caso di Nicola Pende, di Noicattaro in Puglia. Ma furono solo dieci a firmare l’obbrobrioso Manifesto della razza? Purtroppo non fu così. Infatti dal 5 agosto 1938 le firme di intellettuali, magistrati, giornalisti, professionisti vari si moltiplicarono e Franco Cuomo ne pubblica un elenco di 329 persone. C’erano ovviamente le firme dei dirigenti e dei gerarchi fascisti, ma quello che provoca rigetto e riprovazione è leggere i nomi, tanto per citare qualcuno, di Gaetano Azzariti, avvocato, che diventerà addirittura presidente della Corte Costituzionale, Piero Bargellini, apprezzato critico letterario, Amintore Fanfani, che sarà ministro, presidente del consiglio, presidente del Senato e presidente dell’Assemblea genale dell’ONU. E, continuando, troviamo anche padre Agostino Gemelli, sì quello dell’Ospedale romano, grande avversario di padre Pio, Mario Missiroli, una delle penne d’oro asservite al regime fascista. Si diceva dei gerarchi che si affrettarono a firmare le deliranti affermazioni sulla razza italiana, senza alcuna base scientifica. Leggiamo così di Rodolfo Graziani, sterminatore con armi chimiche di popolazioni inermi delle colonie italiane in Africa, e non manca l’adesione convinta di Giorgio Almirante, il fucilatore confesso di partigiani. Non solo i primi Dieci dobbiamo ricordare a imperitura condanna, ma anche i 329 che si aggiunsero volenterosamente alla persecuzione razziale che seguì a tanta infamia. Per non parlare dei tanti, non sapremo mai quanti, silenziosamente seguirono le direttive razziste nelle scuole, negli uffici, nella società civile, denunciando a non finire, e per poche lire, ebrei e non ariani in genere. E oggi? Non si può dire che le cose siano migliorate, se ci sono città e paesi con vie e piazze intitolate, per esempio, ad Almirante e agli altri gerarchi fascisti, come accade a Scalea, dove il corso principale è decicato a Miche Bianchi, uno dei quadrumviri fascisti alla testa della cosiddetta marcia su Roma del 28 ottobre 1922.. L’Italia, antifascista, repubblicana e democratica, può ancora ignorare tutto questo? Fino a quando? O ci si sta preparando a subire, come sempre, che idee malsane e criminose prendano il sopravvento, sotto altre forme? Quando ci si convincerà che il fascismo non è mai finito in Italia, sì proprio il fascismo razzista, che anticipò persino quello nazista? O dobbiamo dimenticare che tanti governi monocolori a guida Democrazia Cristiana si reggevano in parlamento con i voti dei monarchici e dei Movimento Sociale Italiano e che persino il presidente Giovanni Leone venne eletto al Quirinale con i voti determinanti dei missini? Sarebbe un bel segnale di ripresa di coscienza democratica se intanto si cominciasse a cancellare strade, piazze, scuole ancora intitolate a fascisti di ogni risma e servitori volontari della dittatura. Enrico Esposito