Fare che? Dimenticato il complemento oggetto.

Si sente dire a proposito dei politici pre e postberlusconiani che “sono uomini del fare”. Nessuno che si preoccupi di completare la frase con il complemento oggetto, e cioè del fare che cosa? Lenin si chiedeva che fare, oggi bisogna chiedersi fare che cosa? Non è una tema fuori luogo. L’espressione “uomo del fare” denota la vaghezza delle posizioni politiche del nostro tempo. Ma in sé non è nuova. Un indimenticato storico del socialismo, Gaetano Arfé, riferendosi alle origini del fascismo, affermava che il movimento di Mussolini “nacque da un bisogno di azione e fu azione”. Un attivismo senza ideali, un fare qualcosa pur che sia: qualsiasi cosa insomma, pur di fare. E sappiamo cosa hanno fatto quelli che presentavano in camicia nera, manganello e micce incendiarie. Poi è comparso Berlusconi, doppiopetto e cravatta, impomatato e suadente, e si è presentato come l’uomo del fare. Abilmente ha nascosto il complimento oggetto, se no avrebbe dovuto aggiungere “gli affari mei” subdolamente concepiti come di tutti gli italiani. Oggi ritorna su tutti i fronti quest’espressione figlia del pressapochismo, dell’improvvisazione e della mancanza di idee, se non proprio cartesiane, almeno riconducibili al più modesto buon senso. Inutile nasconderselo: l’espressione è pericolosa, perché ermetica, verrebbe da dire propria, se ci fosse, dell’esoterismo politico. Sembra che tutti la possano capire, e invece così non è. Questo rimane una prerogativa di pochi. Però il fatto che tutti la possano pronunciare, ne fa un passepartout valido in qualsiasi contesto. Pure la malavita ha fior fior di elementi capaci di fare, e si è visto che cosa quando incontra o cerca la politica specie locale. Se non si precisa che cosa si vuole fare, tutto rimane nel vago e tutto ci si può aspettare. Forse è troppo pretendere chiarezza d’intenti, quando ci siano? Certo i politici con responsabilità di governo, centrale e locale, hanno il dovere civico di delineare con chiarezza i loro programmi. In tal modo poi si espongono ai doveri di coerenza e fedeltà a quanto promesso, proposto e programmato. A questo proposito sia consentito a chi scrive di esprimere, pur nella diversità delle posizioni politiche,  tanta ammirazione per il nuovo sindaco di Roma, che tra i primi atti ha scelto di far visita istituzionale ai luoghi simbolo dell’antifascismo e di impegnarsi ad abolire certi privilegi fiscali d’Oltretevere. Vedremo se realizzerà le premesse e le promesse. Intanto ha fatto sapere che cosa vuole fare e non si è trincerata dietro la generica espressione che qui si è tentato di denunciare in tutta la sua indeterminatezza. Per questo la sindaca di Roma oggi merita almeno un’apertura di credito. Se poi farà quello che ha detto di voler fare, ascriverà a suo merito ben altro. E sarà un bene per tutta Roma e non solo.

 

Enrico Esposito