Festina lente, la nuova legge della politica

La fretta non è una buona consigliera, ci dicevano i nonni. Sarà per questo che la politica oggi si consegna a nuovi compiti e funzioni, da svolgere subito, con immediatezza, ma senza fretta. A dire il vero non c’è niente di nuovo nel preferire il passo lento al paso doble. Adelante, ma con judicio. Specie se devi scrivere la storia, quella di domani e per gli anni a venire. Intanto oggi prendiamo tempo. Fosse vivo Carlo Dapporto riprenderebbe il suo Giove in doppiopetto: si avvicina Mercurio trafelato che lo informa che il popolo grida e protesta. Perché, gli chiede l’Olimpio. Perché ha fame, risponde il dio alato. Bene  -risponde il padre degli dei- suonate mezzogiorno! E intanto, nell’attesa, non c’è tempo di rendersi conto nemmeno delle contraddizioni, sempre in agguato. Dobbiamo dare subito un governo ai cittadini – dicono i corifei del coro stonato e stridulo di questi giorni. E allora? Abbiamo chiesto più giorni ancora. Ancora! E già,  come dicevano nella Roma di un altro foro ( non forno!): Festina lente. Affrettati con calma. E i lontani cinesi ribattevano: quando hai fretta siediti! Il popolo aspetta?  E si lamenta che ha dovuto votare in un solo giorno, perché era urgente dare un nuovo parlamento al paese? Facile mettere un segno di assenso su una scheda elettorale. O cliccare il proprio voto da uno smart. I prescelti poi hanno il compito di formare un governo e ricordano che Roma, Roma!, non è stata fatta in un giorno. Perciò avanti, ma lentamente. Di questo passo la città eterna non avrebbe neppure cominciato a vivere. Meno male che sono arrivati i barbari, così i pigri trasteverini si sono affrettati a darsi una città forte e potente. Un momento, i nuovi barbari ci sono già, afferma il Financial Times. E allora stiamo tranquilli. Il governo nascerà, prima o poi. Più poi che prima, ma nascerà. Ma ci sono ancora ostacoli! E allora? Le ruspe che ci stanno a fare, se non rimuovono gli ostacoli? No, quelle no! Servono per i migranti. Alla fine sempre barbari sono, non vi pare? Il Financial Times ha indovinato, dunque?

 

Enrico Esposito