“Gerusalemme, Gerusalemme!” Nodo irrisolto del sionismo

Fino a che non sarà risolta la questione Gerusalemme non ci sarà pace nel Vicino Oriente e non solo. Le divisioni nel mondo arabo, tra sunniti e sciiti, con capifila Iran e Arabia saudita, che nonostante tutto fino ad oggi avevano rinviato nel tempo lo scontro finale, sono destinate ad attenuarsi a favore di uno scontro finale dalle conseguenze devastanti per la pace nel mondo. E’ bastato che Trump si dichiarasse a favore di Gerusalemme come capitale unica d’Israele per allargare l’area già piuttosto estesa dell’ostilità antiamericana e antioccidentale. Il presidente americano rischia di diventare un fattore unificante per tutti gli arabi.  Di colpo si è ripiombati  nella situazione incandescente della cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, dopo quella del ’48 e l’altra del ’56, durante la crisi di Suez. L’Onu con le risoluzioni 242 e 328 aveva a suo tempo dichiarata zona occupata da Israele la zona est di Gerusalemme, ma questo non è servito a chiudere il conflitto che invece è rimasto sempre esposto a periodiche fiammate di intolleranza e scontri armati con conseguenti perdite umane da entrambe le parti. Nemmeno la pace tra Israele ed Egitto e la definizione dei rapporti con la Giordania ha portato a reali passi avanti nel tanto conclamato processo di pace, che in effetti non arriva mai alla meta. Anzi dal fallimento dei negoziati tra Begin e Arafat in poi la situazione è andata via via peggiorando, fino alla dichiarazione solenne di Israele come stato ebraico, pur in presenza di diverse opzioni nel fronte interno israeliano. La pretesa sionista ha avuto la meglio, insomma, per cui oggi appare pleonastico richiamarsi all’esigenza di dare vita a due stati nella stessa area, mentre è sul punto di riprendere vigore l’idea di Ben Gurion di espandere la sovranità israeliana al Golan e alla Cisgiordania. Un clima incandescente, che non può lasciare indifferente nessuno a incominciare dall’Europa. E’ di grande importanza che l’UE abbia preso le distanze dagli USA, ma fino a quando potrà durare? E in che misura potrà acconsentire a ridimensionare il ruolo degli Stati Uniti a favore di quello della Russia? Appare sempre più indispensabile risolvere prima la questione israelo-palestinese, per creare le condizioni di un effetto domino in tutta l’area mediorientale. Non aiuta di certo la posizione inopinatamente assunta da Trump. Sostenere le avances sioniste porta senza dubbio ad allargare pericolosamente i focolai di guerra. Mentre risolvere il problema palestinese è di irrinunciabile necessità e urgenza. Ovvio che vadano rimosse le ragioni che hanno portato alle condizioni di conflitto permanente. Gli intellettuali israeliani, Amos Oz, Abram Jeoshua, David Grossmann e altri analisti, sono schierati da tempo a favore dei due stati in Palestina, anzi si parla addirittura di fondare uno stato binazionale. Una soluzione impossibile? Ma è da qui che passano le speranza di pace e non c’è altra via. In tale prospettiva il primo passo è riconoscere la Palestina come stato indipendente e sovrano. La propaganda sionista ha sempre sostenuto che gli ebrei avevano diritto a tornare nella loro terra d’origine, ma si dimenticava che quella terra da due mila anni era abita da altri. Tant’è che gli ebrei fin dalla prima metà dell’Ottocento hanno incominciato ad acquistare terre in Palestina per i primi insediamenti, e il fatto stesso che quelle le hanno comprate è il riconoscimento che c’erano dei proprietari  che vendevano e che questi erano palestinesi. Ma all’epoca prevalse, con il via libera soprattutto dell’Inghilterra, la teoria sionista di Herzl della legittimità del ritorno Sion. E non va certo trascurato il fatto che di uno stato ebreo si parlava anche sotto l’impero turco. Anzi va ricordato che un precursore del sionismo, quando non c’era ancora neanche questo termine, coniato nel 1891, fu un calabrese, un patriota di Pizzo calabro, che già nel 1851 sosteneva la necessità di fondare uno stato di ebrei, con il consenso dell’Inghilterra e dell’Impero Ottomano, nel quadro generale di limitazione dell’espansionismo ( guarda caso) russo! Oggi sembrano ritornare i protagonisti di sempre, prima di tutto turchi. Erdogan ha accusato Israele di razzismo, un fatto da non sottovalutare. Perché di razzismo di Israele parlano da tempo gli stessi ebrei non sionisti, e sono tanti. In Italia Mario Moncada di Monforte accusa lo stato di Israele di praticare una politica razzista, che discrimina non solo i Palestinesi ma anche gli ebrei non europei, gli ashkenaziti. E c’è che si chiede con grande sconforto come sia possibile che le vittime per eccellenza del razzismo nazifascista si comportino in modo da farsi piombare addosso l’accusa di razzismo. Se condo alcuni si deve alla sindrome di Ester, dal libro della Bibbia intitolato alla regina di Persia, che narra della lotta che l’ebrea Ester intraprese contro il primo ministro di suo marito che discriminava gli Ebrei. Ma quando si arrivò a sostituire quell’infame con un ebreo, la discriminazione proseguì questa volta a danno dei nemici degli ebrei. Una spirale di violenza senza fine. Se questo servisse a spiegare gli attuali rapporti tra ebrei e non nel Vicino Oriente non ci sarebbe da stare tranquilli, ovviamente. Tanto più è urgente procedere nella ricerca della pace, partendo dal riconoscimento delle giuste ragioni dei contendenti, prima che si trasformino in confliggenti ciechi e sordi alle attese del mondo intero.

 

Enrico Esposito