Ma davvero si pensava che bastava sloggiare il capo della Lega dal Viminale per riportare tutto allo status quo ante? Se qualcuno ha creduto a questa possibilità, dimostra di avere poco senso della storia e scarsa conoscenza dei nuovi modi di creare consenso, nell’era digitale. Di certo non c’era bisogno di Anna Arendt per ricordare che, già nell’età industriale, era sufficiente creare un nemico da presentare come tale all’opinione pubblica, un nemico ancor meglio se inesistente, perché la gente corresse in soccorso con un consenso spesso superiore alle aspettative persino di chi il fantasma aveva inventato. Nell’era digitale il fenomeno, già sperimentato da Hitler con la fantomatica minaccia sionista, da Mussolini con la rivoluzione bolscevica in Italia, dalle forze maccartiste con l’immagine dei cosacchi che abbeverano i cavalli a Fontana di Trevi, è destinato dilatarsi con sempre miglior fortuna per chi punta tutto sulla menzogna e sulla falsità. Mala tempora pro veritate. Del resto un tempo lo insegnavano ai bambini con la favola del pastore che grida “al lupo”! Quando il lupo non c’era, tutti correvano in aiuto del pastorello, quando invece c’era davvero, nessuno si muoveva in soccorso. Oggi accade la stessa cosa. L’invasione dei migranti presentata come imminente, lo sciamare degli zingari nelle città italiane, le tasse che un governo cattivo e incapace vuole imporre al già martoriato popolo italiano e così via sono menzogne e falsità, ma la gente ci crede. E prima sui social poi nelle urne si regola di conseguenza. Dire che tutto dipende dal modo di comunicare, non cambia le cose. Così è. L’era digitale si caratterizza per l’eliminazione di tutte le intermediazioni, un tempo patrimonio esclusivo dei partiti., Oggi è sufficiente spargere un pugno di farina avvelenata sui social media e il giuoco è fatto. Proviamoci a recuperare la farina sparsa. Una mission impossible oltre che inutile.
E tuttavia, detto questo, si torna alla domanda iniziale. Certo la risposta è giusta, non basta togliere a Salvini il ministero, se però si prende veramente atto che il problema non è il capo della Lega. Che non è né un demiurgo né un super leader politico, abile e infallibile. In una parola Salvini è il sintomo di una malattia dalla lunga incubazione nella società italiana, e non solo italiana. Un morbo rinfocolato dalla dismissione dei grandi valori costitutivi della civiltà occidentale e dalla conseguente rinuncia alla battaglia per realizzarli. Piero Gobetti lo definirebbe tuttora l’autobiografia di una nazione e forse Carlo Levi riprenderebbe l’accorato lamento sull’eterno fascismo italiano o del ribellismo dei ceti dominanti. O forse tacerebbero anche loro, come in questo momento fa quello che un tempo era l’intelligentsia italiana. Un silenzio e un’afasia sconcertanti, ma non troppo. Grandi analisti politici, sublimi pensatori non sono mancati e non mancano, ma nessuno di loro ha previsto che quello che sarebbe successo nell’epoca di internet, facebook, instagram eccetera. Eppure già dalla scuola di Francoforte avevano avvisato che ci stavamo avviando verso una società di massa che si sarebbe accontentata di messaggi semplici e facilmente ripetibili. Ed eravamo negli anni Venti-Trenta del Novecento. Oggi non è più quella società di massa, a meno che non si aggiunga la parola magica “digitale”. Una società digitale di massa, appunto. Per la quale è inutile piangere sul fatto che si lasci dominare dall’ignoranza se non proprio dal rifiuto della cultura aristotelicamente intesa. Anche questo era nell’aria, se Elio Vittorini ricordava a Togliatti, capo del Partito comunista, che la cultura non è società e la società non è cultura. E allora, se così è, che fare? La soluzione non è seguire la massa, inseguire i sondaggi, ma concepire una comunicazione idonea a trasmettere messaggi semplici e facilmente ripetibili su fatti e fenomeni di intricata complessità. Una fatica immane. Ma è l’unica auspicabile, fidando o sperando nel fatto che non per sempre la menzogna, l’ignoranza esibita e orgogliosa avranno la meglio. Prima o poi la coscienza critica si sveglierà. Naturalmente meglio prima che sia troppo tardi.
Enrico Esposito