Insana Calabria!

La Calabria ha mai avuto condizioni igienico- sanitarie tali da impedire l’impoverimento del territorio e la conseguente depressione sul piano fisico e morale della sua popolazione? Un tempo molto, molto lontano forse sì. E quando? Quando possedeva una ricca vegetazione boschiva, decantata nella letteratura geografica dai vari Plinio, Strabone, Virgilio, Tucidide- ricordava Pietro Timpano in un articolo sulla rivista Il Ponte del 1950, nel numero di settembre-ottobre interamente dedicato alla Calabria. Vale la pena rileggere oggi, in momenti così difficili e tristi, quell’articolo di settant’anni fa. “Allora non si verificavano facilmente disordini idraulici e bruschi cambiamenti di clima come si sono verificati in seguito ai continui disboscamenti, che crearono condizioni favorevoli alla vita delle zanzare anofeli e quindi allo sviluppo e diffusione di quel grande flagello che è sempre stato la malaria.” E alla malaria venne a fare pessima compagnia la tubercolosi, con danni incalcolabili al territorio e ai suoi abitanti. Si aggiunga poi che malaria e tubercolosi si manifestavano in una regione il cui paesaggio agrario devastato e spesso abbandonato era caratterizzato da malnutrizione e abitazioni antiigieniche. “La bassa statura, il basso peso, la deficienza toracica riscontrati per molti decenni nei soldati calabresi non erano dovuti a caratteri etnici, ma a condizioni sfavorevoli create dalla malaria che in certi paesi portava una mortalità superiore alle nascite”, notava ancora Timpano. Questa era la Calabria che pure faceva parte di quel preteso paradiso neoborbonico del regno delle due Sicilie, tanto decantato allegramente in questi ultimi tempi. E pensare che solo con l’inizio del Novecento venne reso obbligatorio l’uso del chinino, su impulso di Franchetti e Fortunato. Le condizioni della popolazione in qualche misura migliorarono, anche se l’emigrazione di massa ha provocato rientri e rimpatri da paesi europei e non solo dove il lavoro veniva svolto senza alcuna protezione igienica , per cui era facile importare malattie e virus sconosciuti, impossibili da curare. I più anziani ricordano le leggi della Repubblica italiana sulle abitazioni malsane che negli anni Cinquanta dello scorso secolo erano una costante in tutta la Calabria. Parliamo di epoche ormai lontane e una volta tanto il passato, ritenuto felice, non può essere utilizzato a ristoro delle infelici condizioni del presente. Oggi salute e igiene pubblica in molti casi restano un miraggio in Calabria. Lo prova il fatto che il Covid-19 fino a maggio pressoché inesistente, subito dopo l’estate ha preso a diffondersi senza tregua. Fino a maggio si è campato d’aria e di sole, come canta in una sua canzone Otello Profazio, poi s’è scatenata l’offensiva inarrestabile del turismo di massa, incontrollato più che incontrollabile, e il virus ha acquisito tutti gli elementi ambientali utili alla sua espansione. Per di più la gestione della politica sanitaria è stata a dir poco irresponsabile e taluni casi criminosa. In Calabria si muore di sanità, allo stesso ritmo di come si lucrano profitti e vantaggi elettorali immeritati. Dalla Calabria si emigra per la sanità, aria di mare o della Sila non bastano più in certi casi e specialmente nelle pandemie. Ci vuole ben altro, ci vuole tutto quello che da decenni viene promesso e non mantenuto, mentre si è provveduto sciaguratamente a chiudere ospedali, ridurre i posti letto e altre colpose amenità con le conseguenze che oggi siamo costretti a patire. Si richiede un’ immediata, grande inversione di rotta nella politica regionale. E qui non sono pochi a non nutrire speranza alcuna, almeno in questi momenti. La Calabria quasi gode a lasciarsi abbandonare e si consegna a movimenti e personaggi che l’hanno sempre denigrata e offesa, con l’assurda speranza di trovare proprio in loro l’occasione giusta per risollevarsi. La Calabria ha superato la malaria e la tubercolosi, supererà speriamo quanto prima la pandemia che ora l’affligge. Ma il virus della malapolitica o dell’apolitica richiederà una lunga battaglia di cui non si vede ancora alcuna premessa.

Enrico Esposito