Il miglior antidoto contro i populismi? Aurèlie Filippetti, ministro della cultura in Francia, non ha dubbi: è la cultura. “E’ la prima risposta, con l’istruzione, al razzismo e alla xenofobia; è lo strumento migliore per risolvere le cause che alimentano il populismo.” Il ministro francese, di origini italiane, risponde così alla presunta avanzata della destra e dell’ultradestra in Europa e auspica una maggiore collaborazione tra Italia e Francia in materia di politica culturale. Ed è confortante che convinzioni così forti trovino sponda in rappresentanti di governo, almeno per far da contrappeso ad avventate dichiarazioni di un altro giovane ministro, questa volta italiano, donna anche lei, di qualche appena più giovane della collega d’Oltrealpe. Il riferimento è a Maria Elena Boschi e al suo improvvido attacco a quanti non gradiscono le proposte di riforma costituzionale, sue e del suo premier. Se la prende con i professori, che Renzi chiama sprezzantemente professoroni, tra i quali eminenti costituzionalisti, che paventano derivane autoritarie nel progetto di abolizione del Senato e della sua nuova composizione con meccanismi che tutto contengono tranne il concorso degli elettori. Verrebbe quasi da auspicare che l’invito di Aurèlie Filippetti venisse fatto proprio dai suoi colleghi italiani così da acculturarsi in misura adeguata in materia, cominciando a leggere e approfondire la Costituzione del 1948. Forse si convincerebbero anche loro che riformare la carta fondamentale dello Stato democratico non comporta necessariamente demolirne le fondamenta, ma rafforzarle. Come? Ma attuandone in pieno, finalmente, i principi ispiratori. Perché, è bene ricordarlo, la nostra Costituzione indica dei principi che il parlamento deve trasformare in leggi. E questo rinvia sempre alle responsabilità politiche, che in questi ultimi anni specialmente hanno subito una progressiva riduzione, dovuta alla misinterpretazione delle norme costituzionali sul ruolo e sulla funzione dei partiti. Sorge il dubbio che si stia realizzando il progetto a lungo covato di vanificare la Carta del ’48. Già sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, uno dei suoi padri ispiratori, Piero Calamandrei, lamentava che si parlasse di modifiche e aggiustamenti, e diceva in sintesi: non c’è dubbio che ci sia qualche pagina ingiallita o qualche pagina bianca; mi preoccupa solo chi ci scriverà sopra. Ora lo sappiamo e non è incoraggiante venire a sapere che il piano di riforma sia stato concordato con un evasore fiscale, usurpatore di poteri democratici, seconda una legge del ’57, e alcuni suoi sportulani, da sempre schierati sul fronte del dileggio di tutte le forme democratiche. Anche qui c’è da resistere: con la cultura, appunto, con la cultura costituzionale.