La pace è più vicina tra Israele e la Palestina?

La dichiarazione ufficiale di Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese, sull’unicità della shoà potrebbe aprire scenari nuovi per il processo di pace in Medio Oriente. La presa di posizione è di grande importanza, se si considera che fino a poco tempo addietro lo sterminio degli ebrei veniva considerato in quasi tutto il mondo arabo un’invenzione sionista finalizzata esclusivamente alla creazione dello Strato di Israele. Nessuno ha dimenticato il congresso di Teheran del 2006, voluto da Ahmadinejad, allora presidente iraniano, durante il quale venne teorizzata la distruzione di Israele in quanto creazione nata da una presunta falsificazione della storia. Fu un momento inquietante di rigurgito negazionista, al quale parteciparono anche estremisti europei e italiani, di destra e di sinistra, accomunati dall’odio antisemita e antisionista. Ora che Abu Mazen riconosca che la shoà non solo c’è stata ma che è stato il più grande crimine commesso contro l’umanità, di per sé non può ovviamente portare subito alla pace. E’ però un grande passo avanti, che non va trascurato o respinto quale  pura propaganda, come si è affrettato a dichiarare il premier israeliano Nethaniau, insofferente ad ogni discorso che possa portare alla pace. Se questa fosse la posizione ufficiale del governo di Tel Aviv non si avrebbe altro risultato che il rallentamento sine die del processo di pace, con  conseguente ripresa delle posizioni antisraeliane non solo nell’area dell’eterno conflitto ma in tutto il mondo. E non sarebbe solo antisemitismo o antisionismo, sebbene i due termini non siano proprio sinonimi. Lo scrittore israeliano David Grossmann auspica che si possa aprire una nuova pagina nei rapporti tra palestinesi e israeliani. Ma, perché questo avvenga, è necessario che la dichiarazione di Abu Mazen diventi comune a tutto il mondo arabo, dove continuano a imperversare forti pulsioni belliche finalizzate alla distruzione d’Israele.