La statua del disonore

La statua a Montanelli è una delle tante statue al disonore d’Italia. Negarlo o trovare giustificazioni ad ogni costo è un imbarazzante sintomo del clima parafascista che affligge l’Italia di questi giorni. Va però precisato che il disonore non è del dedicatario della statua, di Montanelli, ma di chi ha deciso di erigere quel manufatto e di esporlo in quel posto della città. Lo stesso Montanelli, se avesse potuto, avrebbe sconsigliato quella scelta. Il giornalista infatti a chi gli chiese, in un’intervista, che cosa avrebbe voluto che si scrivesse sulla lapide della sua tomba rispose: “Qui riposa Indro Montanelli: era ora!” Tutto qui, ma una statua l’avrebbe giudicata eccessiva, se non proprio immeritata. Ma avrebbe riso di gusto anche al giustificazionismo che prevale nei giudizi di queste ore, cui non sfugge neanche qualche storico di successo. Erano tempi di razzismo quelli che visse il famoso giornalista, si dice. Tutti facevano come lui. Che male c’era se era razzista dichiarato e consapevole, ad appena 26 anni d’età? Non c’è ipocrisia maggiore di questa, con l’aggravante di una malcelata malafede. Non è vero che tutti erano razzisti, come non è vero che nessuno si oppose al colonialismo fascista. Tanto meno è vero che nessuno si oppose al fascismo. Quando Montanelli si recò volentieri ed entusiasta a piantare lo Stivale nell’Africa orientale erano passati solo dieci anni da quando erano morti Piero Gobetti e Giovanni Amendola, vittime entrambi dei manganellatori in camicia nera, mentre i fratelli Rosselli stavano per fare la stessa fine ad opera dei fascisti in Francia. Scegliere di dedicare una statua ad uno piuttosto che ad altri non è una scelta neutra, è invece un’innegabile adesione postuma a una data ideologia, quella fascista, liberticida e razzista. Non tutti si adeguarono e tanti sacrificarono la vita pur di non piegarsi alla dittatura dominante. Erano i tempi che erano anche quelli, ma ci fu chi non mise sotto i piedi la dignità e il decoro e chi sguazzò in quella palude maleodorante del conformismo e dell’arrivismo. Perché negarlo? Perché osannare chi si adeguò o si sottomise volontariamente con una statua o anche solo con l’intitolazione di una strada o di una via o di un vicolo? Ma forse la statua a Montanelli vuole ricordare lo storico soltanto o tutt’al più il grande giornalista. Anche questa è una spiegazione poco convincente. In una conferenza al Circolo della Stampa di Firenze del 1974, un valente avvocato di origini calabresi così disse al celebrato storico: “Montanelli, lei come storico ha solo dimostrato di essere un giornalista e basta!” Non si poteva dire meglio; quell’avvocato si chiamava Ubaldo Esposito, parente di chi scrive e sottoscrive. Ma che fare di quella statua? Lasciatela dov’è, a perenne ricordo di un disonore purtroppo ancora vivo.

Enrico Esposito