Miglior governo o governo dei migliori?

“Il miglior governo è quello governa meno”, diceva nel 1849 Harry David Thoreau, di Concord nel Massachussets. Ma poi si accorse che la frase andava corretta. Miglior governo gli sembrava un’espressione alquanto generica. Miglior rispetto al governo precedente che forse governava troppo? Era necessario precisare e Thoreau lo fece in questi termini: “Il miglior governo è quello che non governa affatto.” E quale potrebbe essere mai un governo che non governi? E allora che cosa ci starebbe a fare un governo? Per sua natura detiene il potere esecutivo, e cioè l’azione politica di governare, guidare e realizzare le attese dei governati. Un governo che non governi affatto non potrebbe realizzarsi come vera e propria anarchia? Thoreau si rese conto che anche la seconda definizione di miglior governo presentava qualche inconveniente e allora pensò di ricorrere ad una formulazione più chiara e accettabile. “Per parlare praticamente e da cittadini, a differenza di quelli che si definiscono anarchici, io non chiedo l’immediata abolizione del governo, bensì, e subito, un governo migliore.” E così autorizzava a chiedersi quale governo si può considerare migliore e migliore rispetto a che cosa, alle scelte politico-economiche che adotta, al grado di democrazia che garantisce? In realtà lo studioso americano non gradiva che a decidere su tutto fosse la maggioranza dei cittadini, anzi è forse il primo che parla di dittatura della maggioranza. Thoreau voleva invece che a decidere su ciò che è giusto e su ciò che non lo è “non fosse la maggioranza ma la coscienza” di ciascuno. Tutti noi vorremmo essere uomini prima che sudditi. E allora? “Il solo obbligo che io ho il diritto di arrogarmi è di fare sempre ciò che credo giusto.” Anzi, come un giorno dirà anche Bertolt Brecht, se un governo pretende di trasformare i cittadini in operatori di ingiustizie, non resta altro che disobbedire. Non a caso la conferenza del 1848 di Thoreau al Concord Lyceum da cui sono state tratte le citazioni di cui sopra venne in seguito intitolata La Disobbedienza civile. E per questo, pur non condividendone le posizioni, veniva citato da Gandhi e da Martin Luther King. Disobbedire è una virtù quando ci si vuole opporre all’ingiustizia.

Ma Thoreau non poteva certo prevedere i tempi nostri, attraversati da ogni sorta di complessità e segnati dal populismo e dal relativismo. Se avesse potuto farlo avrebbe evitato di esprimersi in modo da favorire ogni fraintendimento. E’ di alto significato appellarsi alla coscienza, ma oggi si è arrivati ad affermare anche nelle manifestazioni di piazza che è giusto non tanto ciò che la coscienza giudica tale, ma ciò che ciascuno di noi ritiene che sia giusto, in base ai propri interessi più che sulla scorta di profonde riflessioni di ordine morale, prima che filosofico, religioso o politico. Ma oggi che in Italia si definisce l’attuale governo come governo dei migliori, di certo Thoreau si sarebbe chiesto se il governo dei migliori sia di per sé un governo migliore. La stessa domanda che ci si pone in tanti, sia pure dopo poche settimane del nuovo esecutivo. Se si dovesse affermare che è un governo migliore perché formato da tecnici, allora dovremmo concludere che la tecnica è preferibile alla politica, che i commissari con le stellette sono tout court migliori di quelli non gallonati, che le misure anti Covid di questi giorni sono insindacabili in quanto adottate dai migliori e perché tali da accettare senza discutere. E la coscienza cui si riferiva Thoreau che fine farebbe? La stessa democrazia, tanto faticosamente costruita, che senso avrebbe di questi tempi? Già si parla di post democrazia, oggi che sembra che tutti siano post qualcosa in un indifferenziata nube che tutto confonde e niente di buono promette. Viviamo un’interminabile liquidità, direbbe Baumann. E allora? Ripensando ancora a Thoreau, non si può dimenticare che nel lontano 1845 si recò sulle rive del lago Walden, nei pressi di Concord. Qui si fece prestare un’ascia e abbatté alcuni pini bianchi, per costruirsi una capanna. E lì rimase a vivere da solo per oltre due anni. Solo con la sua coscienza. Una prova di netto sapore antiaristotelico: non essere sociale gli sembrava conveniente, ma proprio quello che il filosofo greco sconsigliava, cioè di vivere come apolis, e cioè separato e addirittura isolato dalla società. In compagnia solo della sua coscienza, unica arma contro l’ingiustizia e contro quella che Irving Lee, docente americano di semantica, scomparso nel 1955, ha chiamato “la menzogna organizzata”, ai giorni nostri dominante nella comunicazione politica. Non è certo un esempio da seguire quello di Thoreau, ma le sue denunce non possono essere ignorate.

Enrico Esposito