Musolino e il sionismo

“Un patriota calabrese precursore del sionismo”. Così intitolava Moshe Ishai un suo testo inserito nella raccolta In memoriam di Sally Mayer, pubblicata in ebraico nel 1960 a Gerusalemme. Il patriota cui si fa riferimento è Benedetto Musolino, protagonista di tante battaglie antiassolutistiche e indipendentische durante il Risorgimento. Nativo di Pizzo, nel 1848 diventa deputato nel Parlamento Napoletano, dove, reduce dall’esperimento rivoluzionario cosentino di quell’anno, si fa promotore della protesta con la quale 64 parlamentari dichiaravano decaduto il re, Ferdinando di Borbone. Il fallimento del 1848 su scala nazionale ed europea lo vede tra i calabresi della diaspora, che trovano riparo negli Stati Sardi, e segnatamente a Genova e a Torino, come è accaduto anche per Carlo Mileti, Casimiro De Lieto, Biagio Miraglia e tanti altri. Musolino a Genova allaccia rapporti con i capi del partito d’azione di ispirazione mazziniana, come Carlo Pisacane, e delle frange democratiche del Risorgimento, come Giuseppe Montanelli e Mauro Macchi.[1] Nella città ligure gli emigrati politici calabresi s’impegnano intensamente nel dibattito sul futuro delle battaglie indipendentistiche, in quello che viene chiamato ancora il decennio di preparazione. Musolino invece sembra interessato soprattutto alle questioni internazionali. Già nel 1832 s’è recato in Palestina, dove è tornato qualche anno dopo, per osservare da vicino la situazione del Medio Oriente, in presenza del sultanato turco, il regno della Sublime Porta, e dell’imperialismo russo di cui la Gran Bretagna non gli sembra in grado di arginare l’espansione. Dalle sue riflessioni nasce un’opera ponderosa che pubblica a Genova nel 1851. Si tratta di Gerusalemme ed il popolo ebreo, con un lungo sottotitolo nel manoscritto: “La Palestina nei suoi rapporti commerciali e politici coll’Asia e con l’Europa e più di tutto colla Granbretagna (sic)”. Musolino stesso definisce il suo lavoro un “progetto da rassegnarsi al Governo di Sua Maestà Britannica”. E in effetti di un progetto si deve parlare imperniato sulla creazione di un Principato di Palestina e sulla costruzione di una grande linea ferroviaria che arrivi fino a Pechino, l’unica opera che può a suo parere fare da freno all’espansionismo moscovita. Sono due idee originali, considerati i tempi, specie la prima, in quanto Musolino propone di assegnare il principato palestinese agli Ebrei, ai quali il Sultano dovrebbe accordare l’autonomia amministrativa con la garanzia della Gran Bretagna. E’ questo che lo fa ritenere un precursore del sionismo, se per sionismo deve intendersi “la vocazione del ritorno a Sion”, uno dei nomi ebraici di Gerusalemme.[2]

   Musolino si reca anche a Londra per sottoporre al governo inglese il suo progetto, ma Lord Palmerston preferisce non riceverlo. Le ragioni di tanto non sono state mai chiarite del tutto, ma forse leggendo le proposte di Musolino riguardo alla Palestina si può arrivare almeno a intuirle. E’ importante soprattutto la premessa. L’ex deputato napoletano vede nella Palestina un “angolo negletto” del mondo, che potrebbe assumere un grande ruolo, pari a quello di pana e Suez,  nella costruzione in corso delle grandi strade ferrate. “Quando la civiltà europea diffusa egualmente a tutti i paesidi Asia e di Africa avrà attuato anche in queste le strade ferrate, l’unico sistema di locomozione che col tempo sarà in vigore fra tutti i popoli mediterranei, a meno che l’ingegno umano non arrivi a scovrire o perfezionale metodi più abbreviativi, più economici, più facili, più sicuri, allora la Palestina come punto di legame tra l’Asia e l’Africa dividerà coll’Egitto i benefizi dell’immenso transito tra le due vaste e ricche contrade”.[3] E più avanti: “La Palestina è l’istrumento più efficace e più sicuro per l’immediato incivilimento dell’Impero Ottomano e della Persia, antemurali delle nazionalità di occidente, antemurali dell’Indostan contro le cupidigie presenti ed i progressi futuri del Settentrione”.[4]Potrebbe essere insomma lo snodo principale per il traffico commerciale inglese con le Indie orientali, con la Cina e con l’Australia, lungo le vie marittime, e con la ferrovia fino a Pechino garantirebbe alla stessa Gran Bretagna la massima sicurezza dei suoi traffici contro le mire dell’America de Nord e della Russia. Per ottenere tutto questo non solo c’è bisogno della Gran Bretagna, ma anche di un Principato di Palestina, autonomo all’interno dell’Impero Ottomano e con la garanzia del governo inglese. “Io quindi invoco” dice Musolino “sull’insieme del presente Progetto e su i suoi più minuti particolari una severissima attenzione per parte di tutti i grandi banchieri israeliti; di tutti i grandi bancheri negozianto e manifattori inglesi: invoco la sollecitudine e la cooperazione della Compagnia delle Indie Orientali; e più di tutto la protezione del sapientissimo e onnipotente Governo di S.M. la Regina della Gran Bretagna e d’Irlanda, non che l’acquiescenza della Sublime Porta Ottomana”.[5] Il Principato di Palestina è dunque funzionale alla proposta della costruzione della ferrovia transcontinentale fino a Pechino, ma quello che fa ritenere il suo autore un precursore del sionismo è l’altra proposta di affidare il governo autonomo dell’istituendo principato agli Ebrei. “Esiste sulla terra un popolo senza patria, disseminato su tutt’i punti, abitante sotto tutt’i climi; il quale avendo veduto rovesciare il trono dei suoi re ed il tempio del suo Dio è tuttavia legato da nodi indissolubili ed eterni, dal fervore della propria fede, e dalla speranza di riabitare un giorno la terra che Dio ha promesso min perpretuo ai suoi padri. Questo popolo è il Popolo Ebreo”.[6]

    Già nel passo appena citato ricorre più di un termine del linguaggio sionistico, in special modo quelli della terra promessa e del diritto degli ebrei a ritornare in Palestina. Ma Musolino riprende anche l’antica questione della diaspora ebraica, nonostante i grandi meriti che il popolo ebreo ha conquistato nel corso della sua storia millenaria. Hanno visto distruggere diciassette volte, ricorda il patriota calabrese, la loro città santa, Gerusalemme, ma hanno conservato gelosamente la loro identità in tutti i paesi in cui sono stati accolti non sempre benevolmente, e sempre hanno coltivato il sogno del ritorno nella terra dei padri, la Palestina, alimentato da uno spirito nazionale, che li ha fatti sopravvivere ai tanti rovesci della storia. A differenza di tanti altri popoli, pur potenti e famosi, come gli Assiri, i Medi, Gli Egizi e persino i Romani. Per questo Musolino giudica una grande ingiustizia che gli Ebrei restino ancora un popolo senza patria, anzi che siano ancora “abbandonati all’insulto e al disprezzo continuo delle generazioni, calunniati sempre e dappertutto”.[7] E aggiunge:”Vi fu un’epoca nella quale non si commettevano delitti atroci, nella quale non si parlava di vizi abominevoli, senza che venissero essi attribuiti agli Ebrei…E certo messe da banda le prevenzioni di un cieco fanatismo, nessuno potrà negare aver gli Ebrei prestato segnalati servigi all’umanità”.[8] E non si riferisce, precisa, al popolo eletto da Dio, a quello che ha creato la prima poesia, la prima letteratura o la prima legislazione, ma agli ebrei come “popolo prevaricato, abbandonato all’abiezione delle genti, all’ira del cielo e degli uomini e che tuttavia “insegnarono mansuetudine agli uomini come la nazioni per loro reciproci vantaggi dovrebbero comporre una sola famiglia…Gli Ebrei gittarono le fondamenta di questo immenso edificio additando le prime vie di corrispondenza e di legame commerciale”.[9]  E qui il patriota calabrese rileva come gli Ebrei non debbano invidiare “ad alcuna altra razza alte intelligenza ed esimie virtù”, senza per questo dover citare “i nomi di tutti quegl’illustri che nelle passate età brillarono nelle lettere e nelle scienze”.[10] Per tutte queste ragioni, afferma Musolino, “non vi sarà individuo che possa contrastare agli Ebrei il diritto di possesso o di privilegio sulla Palestina, alla quale essi non hanno mai moralmente né politicamente rinunziato;…questo popolo possiede ancora tutti gli elementi perché dal nulla possa risorgere all’antico splendore per prestare i più segnalati servigi alla causa della civiltà e della sicurezza dei popoli di Asia e di Europa. Un grido solo basta per convocarlo da tutti gli angoli della terra…convenendo i suoi figlioli tutt’in un punto si vedranno costituire in poco tempo una grande e utilissima nazione”.[11] E qui va osservato che Musolino vede nel ritorno degli Ebrei in Palestina l’attuazione di un diritto reclamato da tutti i popoli senza patria, com’è ai suoi tempi anche il popolo italiano. E’ l’invocazione del principio di nazionalità che ispira il risorgimento su scala europea, nelle istanze di affrancamento dei popoli dai grandi imperi assolutistici. In questo quadro non può mancare la considerazione degli ebrei come popolo e come nazione che hanno il diritto di costituirsi in Stato, se non indipendente, almeno, date le particolari condizioni geopolitiche,  autonomo. “Quello che ora deve convincere gli Ebrei” rileva ancora Musolino “non essere più i loro voti di arduo compimento e inanimirli quindi ad un doveroso tentativo è la pubblica opinione del secolo pronunziata ormai illimitatamente a favore della ricostituzione di tutte le nazionalità. Questo supremo diritto delle razze…riconosciuto ormai come giusto da tutt’i governi illuminati; questo santissimo diritto di nazionalità può essere presentemente reclamato ancora dal popolo ebreo senza suscitare le apprensioni di alcuna razza, né di alcun governo. Si tratterebbe anzi di ottenere pacificamente e col beneplacito della stessa Porta la permissione di riabitare una tessa posseduta ab antiquo, col solo benefizio di una speciale amministrazione e restando gli Ebrei sottoposti sempre al supremo dominio del Sultano”.[12]

    Si tralascia qui di riportare tutti i benefici che secondo l’autore deriverebbero alla Turchia dal riconoscere il diritto degli Ebrei a “riabitare” la terra loro appartenuta da tempo immemorabile, per l’ovvia ragione che, pur dimostrando piena consapevolezza della complessità dei problemi internazionali in quell’area del Medio Oriente, non è sempre dato superare considerazione di una certa captatio benevolentiae nei confronti della Turchia, ovviamente non disposta a concedere quanto auspicato da Musolino. Così come ormai appare dovuta l’incondizionata ammirazione per l’Inghilterra, “paese di veri lumi, di vera civiltà, di vera filantropia per gli Israeliti”, dalla quale dipende in grandissima misura il buon esito della proposta di uno Stato ebraico,  mentre mette conto rimarcare come Musolino non si limita a manifestare grande sensibilità nei confronti degli Ebrei e del loro diritto a ritornare in Palestina, ma arriva addirittura a stilare la Costituzione dello Stato che vorrebbe veder nascere.[13]

    Nella premessa si parla di ricostituzione della nazionale giudaica permessa e garantita dalla Sublime Porta Ottomana, mentre nell’ articolo 1 viene sancito il nome del nuovo Stato, Principato di Palestina. Esso comprenderà la Fenicia, la Galilea, la Giudea, la Idumea e l’Arabia Petreia. Si estenderà pertanto dal fiume Leonte, che sfocia nel Mediterraneo fino alla costa araba del Mar Rosso. E confinerà a nord con il fiume Leonte, l’Antilibano e l’antica Iturea, a sud con l’istmo di Suez e il Mar Rosso, ad ovest con Il Mediterraneo e ad est con l’Arabia deserta. L’articolo 2 recita che lo Stato da costruire “sarà infeudato ad un Principe Israelita”, con diritto di successione ereditaria per linea maschile. In mancanza di successori si procederà alla infeudazione di un altro principe di casa israelita. In ogni caso, si precisa, “Il Principe di Palestina sarà sempre suddito del Sultano.  L’articolo 3 prevede che tutti gli Ebrei sparsi nel mondo “potranno liberamente riunirsi ed accasarsi nel novello principato”, a patto che riconoscano sempre “l’alto dominio della Porta”. La quale per la concessione del principato “riceverà preventivamente una sola volta un donativo proporzionato al beneficio di prima investitura; e poscia un tributo annuale progressivo” (art.4). Del dono preventivo si farà carico il principe designato, mentre il tributo annuale toccherà al principato, che resterà tra l’altro obbligato a fornire al Sultano ogni cinque anni un contingente militare,  di competenza israelitica, per il quale riceverà dal tesoro imperiale un congruo indennizzo.

   Di particolare interesse l’articolo 5, in quanto contiene i principi generali del nuovo Stato. Si prevede una costituzione liberale e umanitaria, la distinzione tra potere legislativo ed esecutivo, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’uguaglianza dei diritti naturali, civili e politici. E ancora l’abolizione della poligamia, la garanzia del diritto al lavoro e all’assistenza, la protezione della proprietà privata e del diritto di successione per maschi e femmine. Segue il riconoscimento della libertà di coscienza, di parola e di stampa, la libertà d’insegnamento e di scelta della professioni e quella di associazione e di commercio. I doveri dei cittadini del principato sono demandati alle leggi ordinarie.

    Il potere legislativo sarà esercitato dal parlamento, composto da due Camere, quella del Senato e quella dei Rappresentanti (art.6). Non potrà mai essere scelto e le sue discussioni saranno pubbliche, anche se le votazioni avverranno a scrutinio segreto. E’ prevista l’immunità parlamentare per le opinioni manifestate nelle Camere, anche quando siano rivolte contro l’autorità costituita, fatta salva, ovviamente, la sacralità del Sultano, alla quale si giustapporrà quella dell’indipendenza nazionale degli Ebrei. L’iniziativa legislativa sarà dei parlamentari e del governo. Le proposte di legge saranno soggette a doppia lettura, ma se non approvati da una Camera non potranno essere ripresentati nell’altra durante la stessa sessione parlamentare. Ogni sessione avrà la durata di un anno.

   Il Senato sarà composto da cittadini con un censo determinato che abbiano almeno 30 anni di età. I suoi membri saranno scelti dal principe e la carica sarà ereditaria. (art.7)  La Camera dei Rappresentanti sarà eletta dal popolo su base distrettuale. Ciascun distretto eleggerà un rappresentante titolare per ogni 50 mila abitanti e uno o due supplenti. Elettori saranno tutti i cittadini maggiorenni di sesso maschile, che godano la pienezza dei diritti civili e sappiano parlare e scrivere la lingua ebraica. (art.10) Come  religione dominante è prevista quella di rito mosaico-talmudico, ma a tutti sarà riconosciuta piena libertà di coscienza e di culto. (art.12) In ogni caso la direzione del culto sarà affidata al gran sacerdote dal gran consiglio dei rabbini, ma il principe sarà nello stesso tempo capo dello stato e delle religioni.  La libertà individuale e il domicilio saranno sacri e inviolabili (art. 13) e la giustizia sia civile che penale avrà due soli gradi di giudizio (art.14). Segue una serie dettagliata di articoli sull’organizzazione politico-amministrativa del principato, costituito a livello locale da distretti e municipi, e sul funzionamento della pubblica amministrazione. Ampio spazio trovano nella carta costituzionale approntata da Musolino i servizi sociali a favore dei giovani e degli anziani (art.20). L’educazione pubblica inizia al quarto anno d’età e si estende fino a sedici anni, distribuita su due cicli, di cui il primo arriva fino al compimento di dieci anni da parte del discente. Tra le materie d’insegnamento vengono indicate l’educazione fisica e morale dei giovani, nonché l’apprendimento di arti e mestieri necessari in un Stato che si va costruendo. Nel ciclo superiore vengono previsti insegnamenti di tipo liceale, classico e scientifico, mentre si annette grande valore educativo alle accademie militari, artistiche e tecniche e all’Università, situate tutte a Gerusalemme. L’insegnamento sarà gratuito, con speciali provvedimenti per i trovatelli e i portatori di handicap (ciechi e sordi). Si prevedono anche garanzie per il diritto al lavoro, la giornata lavorativa di dieci ore (art.25) e tutto un sistema di assistenza per i bisognosi, articolato in puntuali norme programmatiche, diremmo secondo il linguaggio dei costituzionalisti moderni. Ovviamente bandiera, moneta, pesi e misure saranno uguali e quelli dell’Impero Ottomano.(art.29) L’ultimo articola prevede la garanzia della Gran Bretagna per l’esistenza del nuovo principato e si affida al governo inglese la scelta del principe di Palestina, la cui investitura spetterà alla Sublime Porta. (art.30).

    Questi, per linea generale, le basi su cui dovrà sorgere lo Stato giudaico, secondo Musolino, che si premura di precisare di non aver preteso “presentare bello e completo un progetto di Costituzione  del nuovo principato” e che auspica  invece che, grazie alla funzione di garanzia del governo inglese, venga esclusa ogni forma di dispotismo e instaurato un regime liberale, indispensabile alla “rigenerazione giudaica”.[14] Subito dopo aver formulato le basi costituzionali del nuovo Stato, il patriota di Pizzo passa ad esaminare le possibili obiezioni al suo progetto da parte degli stessi Ebrei, per la “umiliante condizione di vassalli e tributari”, invitandoli a considerare che “non vi è altro mezzo di tentare con probabilità di riuscita la ricostituzione della loro nazionalità”.[15]Per di più solo così verrebbero superate le perplessità inglesi e le obiezioni ottomane alla nascita di uno stato ebraico del tutto indipendente. Lascia poi intendere che la soluzione proposta è solo temporanea, ma che spetterà agli Ebrei stessi creare le condizioni per nuove conquiste che la situazione internazionale in continua evoluzione potrebbe offrire. D’altra parte, osserva, non sarebbe nuova la condizione di vassallaggio per gli Ebrei nel corso della loro lunga storia. “S’incominci dunque adesso dall’ottenere un posto effettivo nella lista dei Popoli col godimento di una nazionalità vera e reale comunque tributaria: s’incominci dall’acquistare Patria e Tempio rifabbricando le mura di Geusalemme, come fecero ai tempi di Ciro i Giudei reduci dalla cattività di Babilonia; e si abbandoni poscia alla protezione dell’onnipotente Dio d’Israele l’avvenire del suo Popolo”.[16]

       Passa poi, nel capitolo V, a parlare delle opposizioni e degli intrighi diplomatici riguardo al suo progetto, indicando anche i modi per prevenirli. Non lo seguiremo in questo excursus, preferendo evidenziare ancora per quali ragioni Benedetto Musolino viene considerato precursore del sionismo o un presionista, come forse sarebbe preferibile. Ma non si rinuncerà a rimarcare come il patriota calabrese tenga a rassicurare il Sultano sulla “perfetta armonia con le massime e lo spirito del Corano”, [17] presente nel suo progetto, e con la politica ottomana nel suo complesso.

   A Musolino importa sottolineare un altro, e fondamentale, aspetto dell’identità nazionale ebraica, e cioè quello religioso. Poco tempo prima, nel 1844, si è tentato di avviare in Germania uno “strano scisma” tra gli Ebrei[18], basato sulla credenza in Dio e nell’immortalità dell’anima, certo, ma anche sulla rinunzia alla circoncisione e all’attesa del Messia, e a tutti gli articoli del Talmud. Musolino giudica negativamente tali ipotesi. “Ora che cosa è mai un giudeo, che rinunzia all’idea, alla speranza di riabitare la terra dei suoi padri? I Giudei non sono tali perché hanno una religione a parte; ma costituiscono una razza speciale, una razza quasi unica al mondo per lo spirito di nazionalità che informa questa religione”.[19] E osserva, di seguito: “Tutte  le altre religioni (salvo anche il maomettismo) fondate su principi  universali di morale sono state predicate per diffondersi ed adattarsi in tutt’i paesi ed a tutte le nazioni. Ma il giudaismo è attaccato assolutamente al suolo, alla terra dei padri. La legge, i profeti, e tutto il grande edifizio politico riposano su questa base fondamentale. Un israelita fuori della Giudea non si sente un perfetto adoratore di Jehovah, né vero seguace di Mosè. Fuori della Giudea non si veggono che sinagoghe. Il Tempio non può esistere che nella sola Gerusalemme”.[20] Per i giudei  insomma “religione valeva e vale nazionalità”, per cui se rinunziano al Messia “essi si scindono dalla gran famiglia giudaica; e senza far parte di nessun’altra nazionalità perdono anche quella avuta finora, e ch’è stata lo stupore delle genti”.[21] Se si trattasse di cambiar religione, tanto varrebbe, pensa Musolino, che diventassero cattolici, protestanti o maomettani, invece di continuare a chiamarsi giudei, calpestando le leggi di Mosè  e le parole dei Profeti, con il ripudio dell’attesa del Messia che li riconduca in Palestina e della ricostruzione delle mura di Gerusalemme. In definitiva, senza addentrarsi nella distinzione tra talmudisti, rabbanisti, caraiti e via dicendo,  difende la tradizione ebraica del ritorno in Palestina, comune a tutte le sette giudaiche,  senza la quale ovviamente il suo progetto verrebbe a perdere ogni ragion d’essere.

   Nelle conclusioni del suo lungo scritto, Musolino si rivolge direttamente al governo inglese: “Accolga dunque con favore il mio omaggio, e sappia che io mi sono determinato a vergare il presente Progetto non solo per pietosa carità verso una nazione proscritta e sventurata , ma per viva e irresistibile simpatia verso un’altra nazione, nobile possente, felice augusta”.[22]  

   Ma il progetto rimarrà sconosciuto per molto tempo, in quanto non viene pubblicato. Musolino si recherà a Londra, fornito di una lettera di presentazione di Carlo Pisacane,  con la speranza di farsi ricevere dal primo ministro inglese. Lord Palmerston rifiuta e Musolino deve accontentarsi  di alcuni non impegnativi incontri con il banchiere Rothschild, che tanta parte avrà nel futuro movimento sionista, e con altri ebrei influenti, ma la risposta tanto attesa gal governo di Sua Maestà Britannica non arriverà mai.[23] Eppure in Inghilterra l’atteggiamento verso gli Ebrei ha fatto registrare già dal 1838 la posizione favorevole di lord Shaftesbury e l’anno dopo sul Times è apparsa la notizia di un memorandum sul ritorno degli Ebrei in Palestina consegnato alla regina Vittoria e ai sovrani di Svezia, Danimarca, Hannover, Wurstemberg, Prussia e al Presidente degli Stati Uniti d’America. Nel 1841 poi lo stesso Palmerston si mostrerà ben disposto nei confronti degli Ebrei.[24] Per questo non pare del tutto fuori luogo ipotizzare che la sua freddezza nei confronti di Musolino sia dettata dal tema principale del suo progetto, che resta la costruzione della ferrovia transcontinentale, che inevitabilmente provocherebbe complessi problemi negli intricati rapporti con la Russia, l’Impero Ottomano e i paesi dell’Estremo Oriente. Per di più il progetto di Musolino sembra voler bruciare le tappe nella realizzazione delle speranze degli Ebrei nei confronti dei quali in Inghilterra ci si è limitati per ora a generici atteggiamenti umanitari, non vincolanti in alcun modo sul piano politico.

    Fatto sta che del progetto ideato rimarrà degna di nota solo la parte che riguarda gli Ebrei, pur rimasta sconosciuta all’epoca della sua ideazione, tanto che gli autori sionisti neppure potranno citare la sua opera. Un lavoro che anticipa le tesi sioniste vere e proprie e che viene concepito ben trentun anni prima di quello di J. L. Pinsker (1821-1891) e quarantacinque anni prima di quello di Teodoro Herzl (1860-1904), fondatore del sionismo con il Primo Congresso Sionista del 1897. Ovviamente il termine sionismo non ricorre mai nell’opera di Musolino, non fosse altro perché viene usato per la prima volta da Nathan Birnbaum nel 1890. E di  Musolino precursore del movimento sionista si parlerà solo nel 1951, quando cioè, un secolo dopo, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, pubblicherà la sua opera, con la prefazione di Gino Luzzatto, nella quale mette in rilievo “l’ammirazione sconfinata, incondizionata per la Gran Bretagna, per la sua civiltà, per la sua potenza economica, marittima e coloniale, per le sue istituzioni e per la sua costante difesa della libertà e indipendenza dei popoli civili”, ma prende anche atto che il tema dominante è la riorganizzazione della carta politica orientale e mediorientale .[25] A proposito dell’ammirazione per la Gran Bretagna, qualche anno più tardi questa verrà meglio definita da Giuseppe Berti. “Effettivamente”  osserva Berti “ Musolino nutrì simpatie per l’Inghilterra dal 1846 al 1851, ma non è esatto che quella simpatia fosse all’origine del suo progetto. Quando, nel 1851 si recò in Inghilterra e vide che cos’era l’imperialismo inglese, il pauperismo inglese, la sua posizione divenne sempre più negativa e critica…”[26]  Critiche che, sempre secondo Berti, risalirebbero a vent’anni prima e riguarderebbero il sistema borghese nel suo complesso. La speranza che venisse accettato in Inghilterra il suo piano di ritorno degli Ebrei in Palestina e di rimaneggiamento della carta del Medio Oriente, per elevare un baluardo contro la Russia zarista nel Mediterraneo (….) lo fecero un tantino recedere(…)”[27], non fosse altro che per l’innata simpatia per un regime comunque liberale a preferenza di un regime assolutista.

   Del suo progetto in ogni caso non parlerà più per diverso tempo e Musolino morirà  nel 1885 nella sua Pizzo, dopo essere stato in prima linea nelle battaglie risorgimentali,   deputato al parlamento italiano dal 1861 al 1880, sempre schierato nella Sinistra storica,  e infine senatore dal 1881 al 1883. Ma vent’anni dopo la sua scomparsa, il 5 0ttobre 1905, El Sionista di Buenos Aires pubblica un ricordo di Moise Finzi, riportato nella sua parte essenziale da Gino Luzzato nella prefazione all’opera di Musolino. “Mi narrò” ricorda Finzi “che per tre volteegli era stato in Palestina e un quarto viaggio avrebbe anche volentieri impreso se non l’avessero scoraggiato da ulteriori spese gli inutili sforzi fatti per trovare promotori e aiutatori al suo disegno. Mi disse che a tal uopo si era presentato a Londra a lord Palmerston, il quale lo aveva consigliato a interpellare il banchiere Rothschild, che aveva parlato con un Rabbino, non ricordo se in Inghilterra o in Francia: ma nessuno gli aveva dato ascolto”.[28]

   In seguito alla sua scomparsa di lui si ricorderà l’attività di rivoluzionario antiassolutista e quella di parlamentare, ma del suo progetto per la creazione di uno stato ebraico in Palestina non si parlerà più. E nemmeno si troverà citato il suo nome tra i primi autori sionisti. E’ ancora in vita, nel 1882, quando Jehudah Leib Pinsker pubblica Eigen-Emazipation, con il proposito di sostenere le aspirazioni degli ebrei russo-polacchi. Viene considerato, a torto, in quanto non conosce l’opera del Musolino, il primo a sostenere la necessità di uno Stato ebraico. Viene ascritto al cosiddetto “sionismo politico o pratico”, non a quello spirituale né a quello revisionista, ma nei suoi scritti è dato rilevare elementi che lo porteranno ad essere considerato un traditore degli ideali ebraici di ritorno in Palestina. Afferma infatti che il nuovo Stato potrebbe nascere non necessariamente in Palestina, contrariamente a quanto invece propone Musolino. Tale pragmatismo lo renderà inviso sia agli ebrei ortodossi sia a quelli liberali. Ma la sua posizione, come si accennerà in seguito, non resterà isolata. “Così il sionismo, che fin dalla sua nascita era stato un movimento complesso e frammentato in una pluralità di progetti e tesi ideologiche spesso in contraddizione fra loro, si evolveva come fatto politico e non più come riflessione religiosa”.[29] Elemento quest’ultimo non estraneo allo stesso Musolino, ma certo non prevalente. Il suo resta un interesse esclusivamente politico, per cui coerenza sarebbe considerarlo un precursore del sionismo politico, come già rilevato da Berti:”Musolino non era Ebreo né ebbe relazioni con Ebrei prima di stendere il suo progetto di emancipazione degli Israeliti. Del resto da secoli non v’erano Ebrei in Calabria. Ma come democratico, egli volle difendere la nazionalità, la libertà, la lingua, la dignità umana di un popolo ingiustamente perseguitato in ogni angolo del mondo; al tempo stesso volle coseguire uno scopo che riteneva di importanza strategica per le sorti della democrazia europea”.[30] E in questo è da comprendere una profonda vicinanza al popolo ebreo in cui trova più di un momento di analogia con il progetto di unificazione dell’Italia. “Quel suo piano” rimarca ancora Berti “si ricollega, quindi, ai tentativi fatti dai patrioti italiani per trovare, sullo scacchiere internazionale, delle soluzioni che rendessero meno difficile l’unità e l’indipendenza del nostro paese”.[31]

   Le varie anime del sionismo, fin dal suo primo manifestarsi, trovano un motivo unificatore nella posizione di Theodor Herzl, impegnato a creare i fondamenti della nazione ebraica da proporre all’accettazione dei vari gruppi etnici e religiosi ebraici. Viene giustamente considerato il vero fondatore del sionismo politico. “Anche se, in fondo, la creazione dello Stato d’Israele è soprattutto conseguenza della tragedia consumata in Europa dal 1933 al 1945, senza l’azione svolta da Herzl e dai suoi successori sarebbe mancato il presupposto della soluzione che, pur con tutte le incertezze che presenta, è stata in qualche modo realizzata”.[32] Una soluzione molto lontana da quella ipotizzata da Musolino, ovviamente in un contesto politico internazionale del tutto differente. Ma è irrinunciabile rilevare che la sua opera Lo Stato ebraico del 1896 presenta qualche contiguità con le posizione di Pinsker, specie per quanto riguarda la Palestina come sede del costruendo Stato ebraico, che potrebbe anche essere sostituita da un territorio americano. “Sorprende” afferma Moncada di Monforte, un autore ebreo, per così dire dissidente, “come entrambi, nell’indicare la Palestina come possibile meta, abbiano sottovalutato il fatto che la Palestina non era un paese vuoto ma era già abitato da un altro popolo”.[33] Un rilievo che potrebbe valere anche per il progetto di Musolino. L’autore calabrese non prende in alcuna considerazione il problema degli abitanti della Palestina, lì stanziati da tempo immemorabile già nel 1851, e preferisce insistere con l’idea del ritorno a Eretz Israele che è un’idea di ispirazione religiosa su uno sfondo radicalmente nazionalista. D’altra parte già nella sua fase prodromica in ambiente sionista si fa leva sul “ritorno a Sion” come ritorno alla patria celeste, alla Gerusalemme spirituale. “Il sionismo” è anche questa una posizione particolare, ma non isolata di Moncada di Monforte,  “comunque non ha le sue radici nell’età dei Profeti. Anche se ‘domani a Sion’ è tra gli ebrei l’augurio tradizionale non solo della Pasqua, quest’augurio ha sempre fatto riferimento a un’ideale città celeste, come aspirazione ultraterrena, più che alla reale città di Gerusalemme. In altre parole, nei secoli precedenti, non c’era stata fra gli ebrei l’idea di un effettivo e generale trasferirsi in Palestina di tutti gli ebrei della diaspora. E’ assolutamente infondata la convinzione di chi fa risalire molto indietro nel tempo l’origine dello spirito nazionale ebraico: il fenomeno è recente e si è sviluppato nel quadro del risveglio delle nazionalità che ha caratterizzato la storia del XIX secolo”.[34] Che è il quadro in cui deve essere inserita la proposta di Musolino, come già rilevato. D’altra parte “il risveglio” della nazionalità ebraica non può non essere contemplato se non nelle battaglie europee per l’abbattimento degli Imperi centrali, da quello austro-ungarico a quello ottomano. Sorprende pertanto che Musolino, antiassolutista e indipendentista integrale per quanto riguarda le condizioni italiane, nel caso degli ebrei preferisca concepire il prudente disegno di un principato tributario dell’impero ottomano, pur lasciando intravedere che questa sarebbe da considerare una soluzione del tutto provvisoria. La gradualità del suo progetto poi trova ampia giustificazione nelle cautele diplomatiche inglesi e non solo inglesi. E sarà solo merito di Herzl se il sionismo politico prevarrà su quello solo spirituale, fin dal primo congresso del 1897, che costituirà la base e la premessa di ogni discorso su un costruendo Stato ebraico. Che si tatti di interagire con il Sultano non lo esclude neppure Herzl, tant’è vero che cercherà di ottenere dal governo turco l’autorizzazione ad insediamenti ebraici in Palestina. Così come tenterà di strappare alla Russia il sostegno alle sue richieste al governo ottomano, oltre che favorire il trasferimento degli ebrei russi  e pervenire al riconoscimento del movimento sionista sul piano internazionale. Incontri e relazioni, questi, che creano dissensi e perplessità nel mondo ebraico. In ogni caso il sionismo politico di Herzl si apre non senza un certo coraggio al pragmatismo con ogni probabilità necessario in un periodo in cui, siamo nei primi anno del Novecento, la dissoluzione degli imperi centrali è ancora uno scenario indistinto e lontano. Confrontato con il sionismo definito pratico di Hibbat Sion e con il sionismo spirituale di Asher Ginsberg (1856-1927) della provincia di Kiev, il sionismo politico di Herzl appare quello più vicino alle idee di Musolino maturate nel patriota calabrese ben 46 anni prima del congresso del primo congresso sionista, che discute come costruire lo Stato ebraico. Ed è significativo che il padre dello Stato d’Israele, fondato nel 1948, Ben Gurion affermi che “gli Ebrei devono essere grati a Herzl di non aver letto l’opuscolo di Pinsker prima di scrivere il suo saggio sullo Stato ebraico”.[35]

    Ovviamente non rientra nei compiti di questo scritto seguire le vicende che hanno portato alla nascita dello Stato d’Israele. Di certo si può affermare invece che con il progetto del 1851 Musolino, almeno nella premessa del ritorno a Sion, potrebbe essere a buon diritto annoverato tra i primi  scrittori politici ad aver tentato di indicare la via politica da seguire per realizzare lo Stato ebraico. Che poi, secondo taluni autori ebrei, come Moncada,  Israele avrebbe tradito i valori dell’ebraismo, se fosse vero, dipenderebbe dalla storia dello Stato di Ben Gurion così come s’ realizzata nel Medio Oriente, dopo la definitiva caduta degli imperi centrali in Europa e dell’impero ottomano con le due guerre mondiali e il consolidarsi di assetti territoriali per i quali una funzione fondamentale hanno svolto gli USA e l’URSS, specie durante il periodo della cosiddetta Guerra Fredda.

   Oggi si vive una nuova fase, che è quella del postsionismo.  Mentre, come già accennato, Musolino dovrebbe essere considerato un presionista. “I postsionisti generalmente concordano che Israele  dovrebbe essere uno stato democratico di tutti i suoi cittadini. Essi quindi rifiutano il principio sionista della Dichiarazione d’Indipendenza d’Israele, secondo sui Israele è lo stato del popolo ebraico, lo Stato Ebraico. Contrariamente ai sionisti i postsionisti vogliono che Israele divenga uno stato che appartiene a tutti coloro che vi vivono, inclusi i cittadini palestinesi”.[36]

     Musolino invece, nel 1851, parla solo di un principato di Palestina che accolga tutti gli ebrei sparsi nel mondo e che si ponga come fattore di pace e di sviluppo delle relazioni commerciali internazionali. Prevede pertanto che sorga come un fattore necessario a garantire l’espansione del commercio, per il quale auspica la costruzione della ferrovia Tiro- Pechino. Che gli auspici di Musolino non si siano avverati non priva d’importanza  un’opera come la sua, a lungo rimasta a torto ignorata.

 

 

                                                                                                            Enrico Esposito            

  

  

  

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Sull’emigrazione politica dei calabresi dopo il ’48 vedi  Gian Biagio Furiozzi, L’emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze, Olschki, 1979, Franco Della Peruta, Mauro Macchi e la democrazia italiana, in “bollettino della Domus Mazziniana, Pisa, XXVII, 1981, n.2, pp.9-88; Idem, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma Editori Riuniti, IIed., 1977; Enrico  Esposito, Carlo Mileti e la democrazia repubblicana nel Mezzogiorno, in “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, anno L, 1983

[2] Segre, in Enciclopedia italiana, VI, p.668

[3] Benedetto Musolino, Gerusalemme ed il popolo ebreo, Roma, La Rassegna mensile d’Israel, 1951, pp. 25-26

[4] ibidem

[5] Benedetto Musolino, op. cit., p. 27

[6] Bendetto Musolino, op. cit., p.28

[7] Benedetto Musolino, op. cit., p. 29

[8] ibidem

[9] Benedetto Musolino, op. cit., p. 30

[10] Benedetto Musolino, op. cit., p.31

[11] ibidem

[12] Benedetto Musolino, op. cit., p. 35

[13] Il testo occupa tutto il primo paragrafo del capitolo IV dell’opera in esame,da pag. 40 a pag.94. D’ora in poi ci si limiterà alla citazione degli articoli selezionati.

[14] Benedetto Musolino, op. cit., pp. 95-96

[15] ibidem

[16] Benedetto Musolino, op. cit., p. 97

[17] Benedetto Musolino, op. cit., p. 106

[18] Benedetto  Musolino, op. cit., p. 281

[19] Benedetto Musolino, op. cit., p. 282

[20] ibidem

[21] ibidem

[22] Benedetto Musolino, op. cit., p.276

[23] Paolo Alatri, Introduzione a Benedetto Musolino, Giuseppe Mazzini e i rivoluzionari italiani, cit., p.38 e sgg.

[24]  Vittorio Segre, Sionismo, in Enciclopedia del Novecento, Treccani, VI, p.683

[25] Gino Luzzato, prefazione a Beneddetto Musolino, Gerusalemme e il popolo ebreo, cit., p.12.

[26] Giuseppe Berti, Benedetto Musolino, in “Società”, anno I, n.4, 1960,  pp. 752-753

[27] Giuseppe Berti, Nuove ricerche su Benedetto Musolino, in “Società”, anno II, n.1, 1961, p.40

[28] Gino Luzzato, cit., p.17

[29] Mario Moncada di Monforte, Israele un progetto fallito, Armando, Roma, 2009, p.41

[30] Giuseppe Berti, Benedetto Musolino, cit., p. 752

[31] Giuseppe Berti, ibidem

[32] Mario Moncada di Monforte, op. loc. cit.

[33] Mario Moncada di Monforte, op. cit., p. 42

[34] Mario Moncada di Monforte, op. cit., p. 38

[35] Ben Gurion, Testimonianza sul sionismo, In Enciclopedia del Novecento, Treccani, VI, pp. 680-681

[36] Laurence Silberstein, The postzionism debite, citato in Emanuele Ottolenghi, Autodafé. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo, prefazione di Magdi Allam, Torino, Lindau, 2007, p. 187