Novità o innovazione?

Novità pur che sia o innovazione autentica? Il quesito non è inopportuno, a proposito di referendum costituzionale. In tanti anticipano che voteranno sì, perché in tal modo qualcosa cambia, specialmente in materia di riduzione del numero dei parlamentare. E non aggiungono altro. E’ lecito allora pensare che pur di avere una qualsiasi novità, si vota per quello che appare più innovativo. Appare, appunto. Perché un numero di parlamentari inferiore a quello attuale era stato già proposto all’assemblea costituente del 1946-47.  Quello che si presenta come cosa del tutto nuova, tanto nuova non è. Ma ammesso che lo sia, basta questo a motivare un sì alla riforma costituzionale approvata dal parlamento nel modo rabberciato e improvvisato, con maggioranze variabili nemmeno tanto consistenti? Certo un minor numero di parlamentari è auspicabile, e se nella riforma soggetta a referendum ci fosse solo questo saremmo tutti d’accordo e forse il referendum stesso non ci sarebbe nemmeno stato. Il fatto è che c’è dell’altro. In sintesi: l’abolizione del senato, il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e via dicendo, ma sono sufficienti questi due punti per votare no. Sarebbe stato meglio scorporare i quesiti, che sono più di uno e tutti raggruppati nel decreto Boschi. E ancora. Si afferma che la Costituzione non viene nemmeno sfiorata nella prima parte, quella che contiene i principi fondamentali, ma che si esercita solo sulla seconda parte, quella che riguarda l’ordinamento dello stato. L’argomento è specioso e maldestro. Nel testo in vigore prima e seconda parte costituiscono un tutt’uno, la seconda è come la leggiamo perché si ispira e si conforma alla prima parte. Se tocchi una delle due componenti, rischi di stravolgere il tutto, tanto è vero che si propone anche una nuova legge elettorale  che risponda alle esigenze della riforma approvata. Una legge elettorale, il cosiddetto italicum, che si preoccupa solo di “eleminare il ricatto dei piccoli partiti”. Un linguaggio piuttosto dozzinale, per dire che il numero dei partiti va ridotto per rafforzare la maggioranza di governo. Un’idea della democrazia questa piuttosto singolare. La democrazia contemporanea va correlata alla più ampia partecipazione dei cittadina alla vita politica, non al contrario di questo. E poi in un presunto sistema di ricatto, chi potrebbe influire maggiormente, i piccoli partiti o le più grandi formazioni politiche? Anche nella mal considerata prima Repubblica, avere avuto governi guidati da leader di partiti piccoli, pensiamo a Spadolini, o medi, leggi Craxi, erano per forza di ricatto che si trovavano a palazzo Chigi o perché avevano idee e programmi che interpretavano le esigenze politiche del momento? Idee e programmi di cui oggi si sente la mancanza, con il surrogato di patti e alleanze discutibili per la semplice reiterazione del potere fine a sé stesso. E poi, siamo sicuri che cambiando alcune regole avremo innovazione e progresso? Sono le leggi che devono prevalere o gli uomini con le loro idee? L’interrogativo aristotelico è sempre attuale. Inattuali appaiono invece l’estemporaneità e il pressapochismo di taluni progetti di riforma, come quello che ottobre sarà sottoposto al giudizio degli italiani. Al giudizio appunto, non all’aspirazione a novità quali che siano, solo per il gusto del nuovo ad ogni costo. Don Basilio così dice nell’opera di Rossini: “C’è qualcosa di buono e qualcosa di nuovo. Ma quello che è buono non è nuovo e quel che è nuovo non è buono.” Al giudizio degli italiani si affida la speranza che non si cada nella trappola, aderendo a progetti di riforma che non sono innovative, ma solo novità senza costrutto.

 

Enrico Esposito