Quale democrazia?

Non proprio roseo il futuro della democrazia nel mondo.  Già gran parte degli Stati dell’ONU non ha ordinamenti democratici, secondo gli standard europei. Dove permangono, le istituzioni democratiche sono sottoposte a virulenti attacchi, appena mascherati da istanze di democrazia diretta superficiali e raffazzonate. Basta questo per pensare con ansia e preoccupazione al futuro della democrazia. Si sarebbe quasi portati ad usare il titolo di un racconto di Gian Luca Favetto,  Se vedi il futuro,  digli di non venire, in un senso certo diverso da quello concepito dall’autore. Non solo in Italia si teme che i progetti sia pure confusi di riforma delle istituzioni democratiche portino ad una riesumazione del fascismo o di altre forme di autoritarismo. Il timore non è infondato: l’antiparlamentarismo dominante in questi anni, camuffato da avversione viscerale alla cosiddetta casta dei politici, dalle polemiche strumentali sui compensi a deputati e senatori, fomenta la paura che si possa arrivare un giorno a cancellare le conquiste democratiche degli ultimi due secoli. Quando Zigmut Bauman definiva “liquida” l’età che stiamo vivendo e rifiutava la definizione di modernità complessa, avvertiva che era inevitabile che nella modernizzazione acritica e ad ogni costo si facesse ricorso a tutto quanto risulta post. Oggi infatti siamo tutti post moderni, postcomunisti, postfascisti e via elencando. Non poteva certo sfuggire la democrazia. E si sente parlare di democrazia al tramonto, di parlamenti che non avranno più ragion d’essere. E’ certo inquietante tutto questo, anche perché non rassicurano le reazioni in senso contrario. Arroccarsi sui valori del passato non basta più. La democrazia come è andata affermandosi negli ultimi due secoli non vive giorni felici. C’è un’insopprimibile esigenza di conferire ai cittadini potere decisionale su quelli che in fondo sono problemi che investono ciascuno di noi. Insomma la democrazia rappresentativa è destinata ad essere superata. Con quale altra democrazia, è tutto da vedere. Già da qualche tempo Jason Bannon, filosofo americano della politica, preconizza che dalla democrazia attuale si passerà prima o poi alla epistocrazia, e cioè alla democrazia degli informati. E così viene messa in crisi una delle conquiste della democrazia moderna, quella del suffragio universale. Si va facendo strada l’idea deprimente che non tutti i votanti sono consapevoli delle loro scelte, non tutti sanno di economia e di politica internazionale, di finanza e di flussi migratori. Allora potrebbe venire un giorno che saranno chiamati ad esprimersi con il voto solo quelli che hanno conoscenze appropriate. Non sarà certo un bel giorno, quello in cui una minoranza molto ristretta deciderà per tutto il popolo. Soprattutto non sarà un nuovo giorno. Già la tanto decantata democrazia di Pericle era in realtà la dominanza di pochi eletti in una città come Atene, che non superava i 30 mila abitanti. Poi c’era l’assemblea dei 500 scelti con criteri spesso censitari e crematistici che decideva per tutti. In questa assemblea una personalità dominante come quella di Pericle prevaleva su tutti, tanto da essere rimasto al potere diversi anni. In realtà era una democrazia con il governo di uno solo, spesso con comportamenti autoritari. Non è nemmeno nuovo il ricorso agli informati, come vorrebbe Bannon. Platone a Siracusa sperimentò le sue teorie politiche con risultati disastrosi. I vari governi di tecnici ed esperti in più parti del mondo non sono stati più fortunati. E in Italia ne sappiamo qualcosa.

E allora, che fare? Se la democrazia rappresentativa è in crisi, basterà ricorrere alla democrazia diretta via web? Votare cioè con un click come quando si ordina un qualsiasi prodotto su ebay o su amazon? Il dibattito è aperto e nello stesso tempo è lecito chiedersi se dietro le proposte postdemocratiche non si nascondano pulsioni antidemocratiche e basta. Un click siamo sicuri che sia meno doloroso di un colpo di manganello?

 

Enrico Esposito