Quel rogo brucia ancora

Non sono bastati 420 anni a spegnere i foschi bagliori che dipinsero di rosso fuoco il cielo sopra Campo dei Fiori, a Roma. Su quella orrenda pira fu arso vivo, il 17 febbraio del 1600, Giordano Bruno, un domenicano di Nola, che aveva portato il suo pensiero divergente nelle migliori università d’Europa. Non fu accolto spesso con favore, ma dovunque lo fecero parlare e lo stettero a sentire, finché non si rifugiò a Venezia, dove il suo ospite lo consegnò a tradimento all’Inquisizione di santa madre chiesa, impareggiabile nello scovare eretici da consegnare alle fiamme purificatrici dell’intolleranza. Giordano accettò la condanna, pur potendosi salvare. E questo ancor oggi provoca stupore negli italiani da sempre avvezzi ai compromessi e agli accomodamenti. Bastava dichiararsi pentito e ne avrebbe avuto salva la vita. Ma il monaco di Nola aveva tra i tanti difetti che gli venivano addebitati quello di non né essere ipocrita né opportunista. E salì sul rogo guardando in alto, verso il cielo, chiuso nel suo orgoglio e ostinato nelle sue convinzioni. E proprio di questo l’accusavano, fra l’altro, i suoi detrattori: eretico ostinatissimo, ateo, libertino, nemico dichiarato del cristianesimo. Nel lungo processo che lo riguardò non rinnegò nulla di quanto detto e scritto nelle sue innumerevoli opere, anzi accusò di infingardaggine e codardia i suoi giudici, dicendo che avevano più paura loro di condannarlo a morte che lui stesso di morire. Ma non passò molto che si avviò l’azione oggi diremmo negazionista: si giunse addirittura a negare che mai fosse stato bruciato vivo un domenicano a Roma. Solo nell’Ottocento si riprese a parlare di Giordano Bruno, come martire del libero pensiero, facendone un eroe. Pochi hanno letto le sue opere, del resto non facili e sempre urticanti, ma quel mito resiste ancora. Sempre pochi quelli che si limitano a ricordarlo per la teoria dei mondi infiniti o per la mnemotecnica. E ancora pochi quelli che cercano di definire la missione che Bruno fece propria in vita. Per sintetizzare, Giordano Bruno si considerava il Mercurio della sua età, e cioè come colui che recava un messaggio liberatorio per l’umanità. Credeva fermamente di essere l’angelo della luce, che squarciava le tenebre dell’ignoranza e della superstizione. Rivendica a se stesso la mission di restaurare l’antica verità, la prisca philosophia, ma rinnovandola. Ben consapevole di incontrare inimicizie, incomprensioni, odio e condanna. Solo molto più tardi un altro monaco olandese affermò con pessimistica baldanza: mundus vult decipi, ergo decipiatur. Bruno voleva invece rendere l’uomo libero attraverso la verità. E nella verità credeva di aiutarlo a cessare di vivere come una talpa accecata d’ignoranza, per convincerlo a farsi uccello, libero di spiccare il volo, il folle volo, verso il cielo della conoscenza. Un eroe per questo? Ancora di più: un uomo!

Enrico Esposito