Referendum: un voto consapevole, non un semplice sì o no

Quello di domani e lunedì non sarà un voto come tutti gli altri sui quesiti referendari di rilevanza costituzionale. Gli italiani sono chiamati a esprimersi su una materia di vitale importanza per la principale istituzione di una repubblica parlamentare. Si richiede un voto consapevole non un semplice segno sul sì o sul no, come si farebbe con un click al computer. Per questo ci sarebbe stato bisogno di una ben diversa campagna elettorale. In realtà le ragioni addotte per attirare consensi si sono concentrate sul numero e sui costi. Ragioni poco commendevoli. Ridurre la questione solo ad un problema di soldi è quanto di più volgare si possa immaginare in una votazione di così alto profilo. Ma tant’è, ormai è fatta. Eppure non sono mancate voci che invitavano a considerare il problema con maggiore serietà, senza pulsioni demagogiche e populiste. Certo avrebbe giovato tanto rileggere il dibattito alla Costituente sul parlamento. Da lì si sarebbero ricavate ragioni autentiche a sostegno della scelta da effettuare poi nella cabina elettorale. Era già stato consigliato a Renzi, invano. Era e resta un consiglio valido per tutti quanti vogliano riformare la Costituzione. La Carta del ’48 non è di certo un tabù e Piero Calamandrei l’aveva ammesso subito dopo la sua entrata in vigore, quando già qualcuno, che la trovava indigesta, voleva modificarla. Calamandrei trovava innegabile che ci fosse qualche pagina presto ingiallita e persino qualche pagina bianca, ma era preoccupato di chi ci avrebbe scritto sopra. Ora che possiamo individuare i responsabili, la preoccupazione rischia di diventare un incubo. Tanto più utile e attuale si rivela lettura degli atti della Costituente sul problema. Ci viene in aiuto un pregevole volume, edito da Rubbettino proprio in questi giorni, intitolato I Calabresi all’Assemblea Costituente, 1946-1948, curato da Paolo Palma e Vittorio Cappelli. Certo leggerlo prima di domani non si può pretendere da tutti. Ma almeno l’intervento magistrale di Costantino Mortati, correlatore della Commissione dei 75 sul Titolo I della Parte II (Il Parlamento) si può leggere. Sono 17 pagine di rara dottrina costituzionale, che consentono tuttora di operare scelte consapevoli e libere da qualsiasi motivo polemico contingente. Uno dei più ricorrenti è che riducendo il numero dei parlamentare si limitano i poteri della casta, come impropriamente e subdolamente sono stati definiti i politici eletti dal popolo. Non è vero, anzi così la casta avrebbe più potere, proprio perché una caratteristica di qualsiasi casta in ogni epoca è quella di un gruppo chiuso e autosufficiente. Insomma una sorta di meno siamo, meglio stiamo. Diverso sarebbe stato ricorrere alla soluzione monocamerale, senza il pasticcio renziano del secondo ramo del parlamento eletto in una maniera del tutto incongrua. Come diverso sarebbe stato ridurre i privilegi degli eletti, non il loro numero. I calcoli sulle percentuali nei vari paesi sono improponibili. Si raffrontano stati costituzionalmente incomparabili, se vale ancora la distinzione tra repubblica parlamentare, come l’Italia, stato confederale e/o confederazione di stati. L’antiparlamentarismo è da sempre l’anticamera della riduzione del parlamento ad una funzione marginale e irrilevante. Proprio contro tale malaugurata eventualità bisogna reagire, respingendola nella bolgia delle buone intenzioni destinate a produrre solo sciagure. Spero, per quanto mi riguarda, di trovarmi in numerosa compagnia, votando no.

Enrico Espoosito