Se si eccede con le identità

“Parole come cultura, identità, etnia, razzismo compaiono con insistenza nei discorsi dei politici, sulle colonne dei giornali, nei dibattiti televisivi, e la sempre maggiore enfasi posta sulle culture e sulle loro presunte radici conduce a una crescente attenzione verso il locale e i localismi, alcuni dei quali vengono poi impugnati e caricati di aspirazioni globali”. Era il 2004 e toccò ad un docente di antropologia culturale dell’Università di Genova, Marco Aime,  denunciare il rischio degli eccessi di culture. Manco a dirlo, quella denuncia venne ignorata a livello politico europeo e nazionale. Si è anzi pensato di incrementare la ricerca delle radici delle più sperdute località europee, anche con generosi contributi pubblici. E vai allora con le sagre, le fiere, le feste in maschere storiche e via elencando. Si sono inventate radici di improbabile valore scientifico, ma tant’è, ognuno si riteneva in diritto di trovare radici e identità che pretendevano di essere considerate assolute e irrinunciabili. Il conflitto tra locale e globale ha trovato paradossalmente un deprimente compromesso: al globale la finanza e i mercati, al locale il giocattolo delle sagre e delle fiere da strapaese pour amuser le genti e dare un contentino alle festose partecipazioni di popolo. Non ci si è avveduti che dietro tutto questo si nascondevano rigurgiti razzisti, nazionalismi etnici e nostalgie fasciste sempre in agguato nelle rivendicazioni nazionalistiche. L’Europa, preoccupata solo di far applicare i trattati di Maastricht e loro derivati, ha lasciato fare. Ed ora si trova in un tunnel senza via d’uscita. Che fare con l’indipendentismo catalano, con l’autonomismo lombardo- veneto, con il neoborbonismo  meridionale italiano e con quant’altro ritenuto utile a coprire di inutili orpelli la nudità culturale di queste opzioni retropiche, per usare la definizione di Baumann? Se l’Europa riconoscerà il diritto a decidere dei catalani, dei carinzi, e poi dei baschi, dei laudatores temporis acti del regno delle due Sicilie andrà incontro al suo dissolvimento. Se non lo farà il dissolvimento sarà soltanto rinviato. Riusciranno i nostri eroi di Bruxelles a trovare la soluzione giusta? Ci vorrebbe un’utopia, ma oggi chi se la sente di richiamarsi ad Erasmo o a Locke? Meglio la distopia che ci sta travolgendo, allora?

 

Enrico Esposito