Soffrendo, s’impara?

Pathei mathos, nella sofferenza s’impara. Così diceva Eschilo in una sua tragedia. Non aveva torto, ma oggi, nella terribile seconda ondata della pandemia, se ci chiediamo cosa abbiamo imparato nella prima fase viene da pensare che il grande tragediografo greco sia stato troppo ottimista. In effetti non abbiamo imparato nulla in relazione ai comportamenti da adottare. Come la gallina di Leopardi abbiamo ripreso il nostro verso usato, immemori della tempesta appena passata. Da maggio ci siamo convinti, o ci hanno fatto credere, che il pericolo era ormai passato e allora tutti a festeggiare il ritorno alla normalità. E qui la prima lezione non appresa: era, come lo è ancora, la normalità un focolaio sempre vivo d’infezione. Invano qualcuno ha tentato di farlo notare. L’euforia era tale che nessun appello alla prudenza è stato accolto. Si diceva anche che la seconda ondata sarebbe stata ancora più pericolosa. Ma è stato come parlare a sordi e ciechi. La voglia irrefrenabile di tornare al modo di vivere quo ante ha prevalso, con il benestare delle autorità di controllo, degli operatori turistici, dei commercianti e di titolari di aziende produttive in ogni settore. Oggi si piange sul virus trascurato proprio quando doveva essere più accanitamente combattuto. Le sofferenze di primavera? Tutte dimenticate. Incipiebat vita nova? Ne eravamo convinti tutti, dimentichi ormai dei tanti morti che abbiamo dovuto piangere e delle ricadute di un’infezione generalizzata, piombata addosso agli anziani come ai giovani. E ora torniamo a parlare di nemico invisibile, una definizione che ci dovrebbe assolvere per tutte le inadempienze che spudoratamente abbiano persino rivendicato. E si è tornati a sentir parlare di virus inesistente, di complotti per ammorbare il mondo, di vaccini attesi e temuti nello stesso tempo. Per non parlare di chi tuttora si ostina a parlare di clima di guerra. Ma guerra contro chi? Se il nemico è invisibile come si fa a vedere una guerra? E se guerra davvero fosse quale sarebbe stata la causa scatenante, il presupposto o il pretesto? Ma si è detto anche che la battaglia era contro elementi naturali, responsabili dell’insorgere della pandemia. Quindi il nemico invisibile sarebbe la natura! Sarebbe lei, la natura, che ha dato il via all’offensiva. E tutti noi altri saremmo la parte offesa. E qui come al solito si scambia la vittima per l’aggressore. Da sempre la natura combatte contro un virus invincibile: si chiama uomo, capace delle più sconce nefandezze contro la natura, appunto. In natura il nemico è visibile, ma è così subdolo che si camuffa, si atteggia a vittima, piange su colpe che sono solo sue e invoca soluzioni taumaturgiche improbabili. Non si può certo negare che soffra, il povero uomo, ma soffre per un male che s’è creato da solo, contro se stesso, con l’allegria e la spensieratezza dei naufraghi. La natura, violentata e deturpata da un’economia globalizzata indifferente alle ricadute degradanti di scelte dettate solo dalla logica del profitto ad ogni costo, è parte lesa, è parte offesa. Era facile apprenderlo nella sofferenza patita, ma non s’è fatto. Eschilo oggi ne sarebbe sconvolto. C’è un modo per riparare? Ci deve essere, ma sarà difficile individuarlo se si continua a chiudere gli occhi per non vedere l’abisso in cui andiamo precipitando e soprattutto se si continua non volerne indagare le cause. Tutti i provvedimenti di questi giorni, variamente colorati, è improbabile che possano frenare lo slancio di questa seconda ondata pandemica. Ultima speranza rimane la scienza applicata alla ricerca di vaccini risolutivi. Un tema questo che riguarda il mondo intero. Pensare di risolvere il problema solo all’interno del proprio orticello nazionale è pura follia. Gli abitanti della terra potranno salvarsi soltanto con un’azione comune, se non prevarrà l’istinto belluino delle nazioni più ricche e potenti di servirsi di questo terribile momento per imporre nuove forme di dominio e di supremazia, in una mai dismessa volontà di potenza che ha segnato le tragedie del Novecento. Senza che le tragedie del secolo scorso nulla insegnassero al genere umano.

Enrico Esposito